Nel cuore liberal d'America si gioca la gara dei valori progressisti. Le primarie di New York
Roma. Oggi si vota alle primarie di New York, diventate cruciali in una corsa presidenziale arrabbiata e deforme, con conteggi forsennati e tanti, tantissimi dispetti. Se nel campo repubblicano ormai si pensa a riscrivere le regole della convention, ultima disperata mossa per contenere l’avanzata di Donald Trump, per i democratici la battaglia è sempre la stessa: chi rappresenta davvero il progressismo?, domanda che, posta nel cuore liberal degli Stati Uniti, acquista un peso enorme. Hillary Clinton è davanti nei sondaggi, con un margine più risicato rispetto a settimane fa (il rosicchiamento continua anche a livello nazionale), ma Bernie Sanders è deciso a far sentire la propria presenza con un colpetto alla candidata predestinata, magari qualcosa di più. I conti di delegati e superdelegati danno Hillary quasi al sicuro, ma le primarie americane sono molto di più di un conteggio, per quanto i pragmatici clintoniani dicano di andare al sodo, di non perdersi in discussioni inutili: vince chi ha più delegati. Sanders insidia il clintonismo con una formula ancora più antica, ma oggi resa attuale dalla retorica della diseguaglianza che va tanto forte anche nelle piazze europee. Mette in imbarazzo, Sanders. Al punto che George Clooney organizza un fundraising sfarzoso in California per Hillary – i ticket a coppia per partecipare vanno dai 33 mila ai 353 mila dollari, scrive il Guardian – e poi si ritrova ad ammettere: abbiamo raccolto una quantità di soldi “oscena”, soldi così non dovrebbero girare in politica.
L’imbarazzo più grande per Hillary sarebbe perdere a New York, sua città d’adozione. Così le ultime giornate sono state organizzate seguendo con precisione la demografia elettorale così come si è formata oggi: prima di tutto, corteggiare la comunità afroamericana. Hillary ha ballato a Harlem, ha precisato di essere favorevole a un aumento del salario minimo a livello nazionale sulla base dei 15 dollari all’ora introdotti a New York, ha spiegato il suo piano di investimenti per stimolare la costruzione di case per i redditi più bassi. Poiché la storia insegna che il cuore liberal dell’America ha spesso scelto governatori o sindaci repubblicani (non è questo il momento, la polarizzazione oggi è alta), a Staten Island, dove viveva la maggior parte delle vittime dell’11 settembre 2001, Hillary ha ricordato come i partiti lavorarono assieme e ha ringraziato l’allora presidente: “Grazie, presidente George W. Bush”. Si tratta di una mossa tattica, certo, ma Hillary si può permettere un tono bipartisan che Sanders non si sogna neppure.
I gadget e i cartelloni di Bernie sono ormai iconici, il celebre “I love New York” con gli occhialetti sandersiani al posto del cuore è dappertutto, e al comizio di Prospect Park organizzato domenica da Sanders c’era davvero tantissima gente. “Senza i giovani non vincerai mai, Hillary”, ripete Bernie dall’alto della sua popolarità tra i ragazzi, e a tutto il Partito democratico dice: io sono garante di una mobilitazione che la Clinton non riuscirà mai a creare, ma che a novembre potrebbe essere decisiva. Sanders insinua che “i sondaggi ci sottostimano sempre”, e secondo il suo team il distacco non sarebbe “a doppia cifra” come dicono i media, ma attorno “ai sei punti”. L’obiettivo però non è tanto vincere (certo: è vincere, ma il piano B non è male) quanto “prendere più delegati possibili”, come ha scritto Jeff Weaver, campaign manager, in un’email ai sostenitori spedita due giorni fa. Al momento Hillary ha conquistato 1.289 delegati, Bernie 1.038, ma la stragrande maggioranza di superdelegati a favore della ex first lady porta il conteggio a 1.758 contro 1.069: a New York ci sono in palio 247 delegati più 44 superdelegati. Sanders vuole conquistare più delegati possibili e poi cercare di scardinare il monopolio di Hillary sui superdelegati: è una battaglia quasi inutile, soprattutto a questo punto della corsa, ma serve per creare il mito di Bernie, quello che Hillary non riuscirà mai a far svanire, e che si fonda sulla giustizia, sulla volontà di cambiare, sulla rivoluzione. Con idee che erano antiquate già vent’anni fa, ma questa è un’altra storia.
I conservatori inglesi