Ankara si sente la salvatrice dell'Ue. Sui migranti e sulla Brexit
Bruxelles. Alla fine del mese di giugno, la Turchia potrebbe aver salvato l’Europa da due minacce esistenziali, grazie al patto sottoscritto in marzo sui migranti che ha portato a una netta riduzione dei flussi nell’Egeo. Almeno questa è la convinzione di Ankara, alla vigilia di un rapporto della Commissione di Jean-Claude Juncker sullo “stato dell’arte” dell’attuazione del patto tra Unione Europea e Turchia. “Se questo accordo funziona”, non solo l’Ue sopravviverà a una crisi di rifugiati che rischiava di travolgere Schengen, ma “la Turchia potrebbe anche aiutare a evitare la Brexit”, spiega al Foglio un diplomatico di Ankara. “Quando abbiamo accettato di prendere tutti i migranti indietro, rifugiati siriani compresi, gli occhi di Angela Merkel hanno iniziato a brillare”, ricorda. Era la notte del 7 marzo e il premier turco, Ahmet Davutoglu, aveva appena presentato il suo piano alla cancelliera, comprese le contropartite politiche: il rilancio del processo di adesione, l’accelerazione sulla liberalizzazione dei visti e 3 miliardi di euro di aiuti in più. “La politica ha surclassato la legalità”, riconosce il diplomatico. Ma “l’Ue ci diceva che questa crisi era una minaccia esistenziale”. Davutoglu ne ha approfittato per perseguire la “normalizzazione” dei suoi rapporti con Bruxelles. Da allora “il piano ha avuto successo”. Se tutto andrà come previsto, “nelle prossime settimane” la Turchia si riprenderà “un numero consistente di siriani”. Soprattutto, il quasi azzeramento degli arrivi in Grecia avrà consentito di sopire le polemiche tra i governi europei e di calmare le paure delle opinioni pubbliche sui migranti, compresi i britannici chiamati al voto sulla Brexit il 23 giugno.
In realtà, qualche intoppo rischia ancora di compromettere il patto Ue-Turchia. La riammissione di afghani e iracheni è bloccata perché Ankara non ha ancora adottato la legislazione necessaria a concedere protezione internazionale ai non siriani. Il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, non manca occasione per avvertire che l’accordo salterà, se gli europei non daranno il via libera alla liberalizzazione dei visti. “Non c’è bisogno di lanciare minacce al vento”, ha assicurato Juncker. “La liberalizzazione dei visti è una questione di criteri. I criteri non saranno annacquati nel caso della Turchia”, ma il presidente della Commissione è sicuro che Ankarà “avrà rispettato tutte le condizioni” in tempo. Secondo il governo turco, sui 72 criteri almeno 44 sono già operativi. Entro la fine del mese sarà completato il lavoro sugli altri. Il 4 maggio la Commissione presenterà la sua proposta sulla liberalizzazione dei visti, che può passare con la maggioranza qualificata dei governi. “Sui criteri la responsabilità tecnica è nostra”, riconosce il diplomatico turco. Ma “se avremo qualche intoppo politico da parte europea metteremo fine all’accordo di riammissione” dei migranti. Del resto, la liberalizzazione dei visti “è la sola carta che abbiamo nelle nostre mani”.
Sulla via della normalizzazione tra Turchia e Ue pesano altri fattori: l’autoritarismo di Erdogan, le persecuzioni contro i curdi, la causa per diffamazione intentata contro il comico tedesco Jan Böhmermann che Merkel ha autorizzato. Ma “l’Ue ha più bisogno della Turchia di quanto la Turchia abbia bisogno dell’Ue”, ha detto Erdogan. I numeri sui migranti sembrano dargli ragione. Da quando il patto è entrato in vigore il 20 marzo, le partenze dalla Turchia sono crollate. Dal 10 al 16 aprile solo 134 migranti sono sbarcati sulle isole greche, contro una media settimanale che oscillava tra i 1.500 e i 5.000 arrivi nei quattro mesi precedenti, secondo i dati dell’Unhcr. “Una volta che i numeri saranno scesi vicino allo zero” Ankara si aspetta che parta un vasto programma di reinsediamento di rifugiati dalla Turchia direttamente in Europa, dice il diplomatico: 150-250 mila siriani l’anno dovrebbero essere accolti da un gruppo di paesi volontari, capitanato da Germania, Olanda e Svezia. I turchi vorrebbero farlo partire a maggio. Ma Bruxelles guarda più alla fine di giugno. Del resto, tutto il calendario Ue sta slittando in funzione Brexit: l’apertura di nuovi capitoli negoziali con Turchia e Montenegro dovrebbe essere annunciata solo dopo il referendum del 23 giugno.