Bruxelles vuole regolare le lobby, ma gli eurodeputati non sanno neanche come definirle
Roma. Una nuova legge sulle lobby sta dividendo il Parlamento europeo, il tempio dei gruppi di interesse dell’Ue. Nella commissione Affari costituzionali dell’organo legislativo comunitario è in discussione in questi giorni un provvedimento finalizzato al potenziamento dell’attuale normativa chiamata a regolare l’attività delle lobby, che oggi prevede un semplice albo delle agenzie che si registrano su base volontaria. L’intenzione del relatore, il verde Sven Giegold, è di rafforzare il testo di legge attuale e di presentare in plenaria una più chiara definizione di cosa si debba intendere per “lobby” assieme ad altre norme che disciplinano il settore per una sua maggiore trasparenza. Uno dei pilastri dell’iniziativa è la volontà di rendere obbligatoria la condivisione dell’agenda relativa agli incontri che i relatori e i presidenti delle varie commissioni parlamentari intrattengono con i rappresentanti dei gruppi di interesse, siano essi dell’industria, delle ong o di altre lobby. Ma questa norma, hanno detto alcuni eurodeputati a Politico Europe, sarebbe troppo invasiva, soprattutto per la sua obbligatorietà. Così, la commissione parlamentare ha accolto la proposta con una pioggia di emendamenti già in prima lettura (siamo quasi a quota 400), complicando il cammino della riforma. Diversi gli aspetti che preoccupano gli eurodeputati: dalle modalità di compilazione del registro dei lobbisti alla regolamentazione del conflitto di interessi, fino alla più cruciale definizione del concetto di lobby. Un emendamento del gruppo dell’Alleanza per i liberali e i democratici d’Europa (il gruppo Alde) propone che le lobby siano “parte integrante della democrazia” ed “essenziali nel presentare i vari interessi della società, nel fornire informazioni e conoscenze”. La definizione però non ha riscosso entusiasmi particolari, nemmeno all’interno dello stesso gruppo politico, visto che Maite Pagazaurtundúa e Charles Goerens, anche loro membri di Alde, hanno invece proposto di cancellare nella sua interezza la proposta di riforma.
In Italia, dopo il caso Guidi e la discussione che ne è scaturita sul reato impalpabile di traffico di influenza illecita, il viceministro alle Infrastrutture, il socialista Riccardo Nencini, ha deciso di rendere pubblica la propria agenda degli appuntamenti intrattenuti con i rappresentanti delle lobby. Nel 2001, quando era presidente del Consiglio regionale della Toscana, Nencini fece approvare la prima legge in Italia che disciplinava le relazioni tra istituzioni e lobby. Una battaglia continuata una volta eletto al Senato nel 2013, e poi ancora da membro dell’esecutivo. Il suo ddl sui gruppi di interesse è ora fermo alla Camera (dove “va avanti a stantuffi”, dice). “Avendo presentato un disegno di legge in merito mi sembrava opportuno applicare quei princìpi a me stesso prima di tutti, con un esperimento di autoregolamentazione”, spiega Nencini al Foglio. Da allora, chiunque può consultare liberamente l’agenda degli incontri del viceministro visitando il sito del dicastero (tutti gli incontri vengono condivisi, da quelli con Confindustria a quelli con Autostrade per l’Italia, passando per le organizzazioni di volontariato).
Ora il viceministro ha superato per zelo persino i parlamentari europei, gli stessi da cui di 15 anni fa Nencini prese esempio per la stesura della legge in Toscana. “Vede, sono i fatti di queste settimane che ci dimostrano che una regolamentazione del settore è necessaria, per impedire che reati vaghi, come quello appunto del traffico illecito di influenze, restino tali, come appesi in cielo”. E a chi dice che le lobby intervengono a colmare i vuoti lasciati dalla politica Nencini replica che “i gruppi di interesse esistono da sempre, oggi sono di fatto interlocutori imprescindibili. Uno dei motivi per cui è necessario regolamentarli è per ristabilire il giusto equilibrio tra politica e lobby”. Contro la retorica della lobby-male-assoluto, Nencini spiega come qualunque processo legislativo possa invece beneficiare dal coinvolgimento dei gruppi di interesse: “Consentire a ogni gruppo della società civile di partecipare all’iter legislativo non può che rafforzare il consenso”.
Una tesi condivisa dallo stesso mondo delle lobby di Bruxelles, che sostengono come le attività dei parlamentari traggano beneficio dalle informazioni fornite dai gruppi di interesse o della società civile. A livello europeo, però, la riforma resta arenata in commissione parlamentare e, anche se approvata, rischia di generare un conflitto tra le varie istituzioni. Non è solo il Parlamento ad avvalersi delle consultazioni con le lobby, ma anche il Consiglio e la Commissione. Il Consiglio, in particolare, è portavoce di interessi nazionali e necessiterebbe in tal caso di una regolamentazione da parte del singolo stato piuttosto che una a livello europeo. Le resistenze, soprattutto sulla necessità di rendere pubblici gli incontri tra funzionari delle istituzioni e quelli delle lobby, restano molte. “La battaglia per la trasparenza è sempre bene accolta quando si tratta degli altri”, ha confessato l’eurodeputato Gegold a Politico, “ma quando si tratta di regolamentare le tue stesse attività le cose cambiano”.