L'ultima incomprensione tra Putin e Obama mette a rischio la tregua in Siria
Milano. Erano due anni che i russi e la Nato non si ritrovavano insieme nella stessa stanza: il primo incontro, mercoledì all’interno del Nato-Russia Council, è durato tre ore e mezzo, più del previsto, è stato “franco e di sostanza”, ma non ha portato ad alcun accordo. Il Council era stato creato nel 2002 per garantire un dialogo su base mensile tra Mosca e l’Alleanza atlantica, ma i suoi lavori erano stati interrotti nel 2014 durante la guerra in Ucraina: la ripresa dei meeting avrebbe dovuto sottolineare un piccolo disgelo all’interno di un rapporto scandito da qualche apertura e da parecchie incomprensioni.
Ma i due conflitti su cui Barack Obama e Vladimir Putin cercano un accordo da anni, l’Ucraina e soprattutto la Siria, restano irrisolti, e anzi gli americani – soprattutto negli ambienti militari – registrano con toni duri la mancata collaborazione russa. Il portavoce della Casa Bianca ha detto che lunedì i due presidenti si sono sentiti al telefono, hanno avuto una “conversazione intensa”, che il Wall Street Journal ha interpretato come il sintomo di una rottura. Il cessate il fuoco in Siria iniziato il 27 febbraio, fragile e ampiamente violato ma a oggi l’unica tregua concordata tra Russia e Stati Uniti che ha consentito un rallentamento degli scontri sul terreno, è sull’orlo del collasso. L’intelligence americana ha verificato lo spostamento di unità di artiglieria russa nel nord della Siria, nell’area di Aleppo, assieme al ritorno di forze iraniane nelle stesse zone. Il “ritiro” dalla Siria annunciato da Putin il 14 marzo non c’è stato e anzi il Pentagono segnala l’intensificarsi delle attività dei sottomarini russi nell’area del Mediterraneo.
I sottomarini russi circolano nelle acque scandinave, scozzesi, mediterranee e dell’Atlantico del nord, e secondo il capo della marina russa, l’ammiraglio Viktor Chirkov, i pattugliamenti sott’acqua sono cresciuti nell’ultimo anno del 50 per cento. Per Mosca ogni investimento militare è pensato in termini difensivi, per contrastare l’aggressività della Nato e l’isolamento diplomatico, ma per l’occidente vale l’esatto contrario: è l’Alleanza che si difende dalle ambizioni espansionistiche russe. Attorno a questa incomprensione “da Guerra fredda”, come dicono in coro i commentatori, si accumulano dossier irrisolti, toni glaciali e l’assenza di collaborazione. Secondo il Pentagono, in Ucraina restano 7.000 uomini russi, e i dispetti aerei che ancora ci sono stati questa settimana nei Paesi baltici non fanno che convincere l’élite militare americana che quel conflitto sta per tornare violento.
Allo stesso modo, ma con maggiore gravità visto che in medio oriente si sta combattendo una mini-guerra mondiale, in Siria Mosca non soltanto non si è ritirata, ma sta pianificando un’escalation armata nel nord. In questi giorni il regime di Bashar el Assad ha intensificato i bombardamenti sulle aree controllate dai ribelli e da al Nusra, al punto che l’opposizione al regime, che si era presentata ai colloqui di pace a Ginevra, ha deciso di abbandonarli (circolano report brutali sull’operato del regime, tra barrel bomb e assedi, e un particolare ha fatto molto scalpore in questi giorni: America e Onu hanno denunciato il fatto che Damasco blocca i convogli umanitari e soprattutto “sottrae” i medicinali). Il cessate il fuoco ha raggiunto un “diplomatic zombie status”, ha scritto il Washington Post in un editoriale molto duro mercoledì, “è morto, ma vivo nella retorica dei suoi promotori”. L’attacco è rivolto a Obama che passa dalle accuse alla collaborazione con i russi senza un apparente controllo delle loro reazioni. Il vertice previsto lunedì a Hannover con gli alleati europei – parteciperà anche l’Italia – dovrebbe essere un passo per provare a mettere un punto fermo a quest’altalena, mentre gli Stati Uniti hanno ricominciato a rifornire i ribelli siriani di armi.