Non solo Brennero. Merkel ha una strategia per integrare i rifugiati
Roma. Barack Obama non sarà contento della decisione dell’Austria: mentre da Hannover il presidente americano chiedeva ieri all’Europa di restare unita, Vienna introduceva controlli minuziosi ma “temporanei” al confine con l’Ungheria. Nella linea dura anti-profughi si può leggere il tentativo estremo della grande coalizione del cancelliere austriaco Faymann di riguadagnare consensi a destra. Dopo aver imposto la chiusura della via balcanica interrompendo l’afflusso di profughi, Faymann ha tentato di bloccare l’emorragia elettorale a favore del destrissimo Partito della Libertà, l’Fpö. Il primo turno delle presidenziali domenica scorsa, con il candidato Fpö al primo posto al ballottaggio con oltre il 36 per cento dei voti, dimostra che il tentativo è quantomeno tardivo. Nel frattempo la libera circolazione resta vitale per l’Unione europea e a volerla è in primo luogo Angela Merkel. Almeno quella nota fino a pochi giorni fa come convinta europeista, castigatrice delle fughe in avanti della piccola e irrequieta Austria. A instillare il dubbio che al di là delle proteste di facciata, la leader tedesca sia sostanzialmente d’accordo con i suoi vicini meridionali è stato lo Spiegel. Secondo il settimanale, incontrando domenica a Berlino alcuni esponenti del suo partito, la Cdu, e della bavaresi Csu, Merkel avrebbe detto che un forte afflusso di profughi dall’Italia farebbe scattare per il governo di Roma l’obbligo di registrazione per tutti. “E se questi volessero arrivare fino in Germania? ‘Allora Vienna chiuderebbe il passo del Brennero’”, avrebbe risposto la cancelliera con tanti saluti al decantato europeismo e ai complimenti ricevuti da Obama per la gestione della crisi migratoria. “Per esperienza personale”, ha detto il presidente davanti alla sua ospite ad Hannover, “la cancelliera sa cosa vuol dire vivere dietro a un muro”. Dopo aver rassicurato anche il governo italiano, tanto che Renzi nel pomeriggio ha detto: “Obama si è detto disponibile a discutere sull’impiego di mezzi Nato per bloccare il traffico di uomini e scafisti”. E tuttavia uno stop ai nuovi arrivi permetterebbe al governo Merkel di gestire al meglio le centinaia di migliaia di profughi che la Germania ha già accolto.
Al di là delle pesanti ricadute politiche delle scelte sull’immigrazione – i sondaggi danno la Cdu al 31 per cento, il risultato peggiore dal 2011 – il governo tedesco sta ora cercando di facilitare l’ingresso dei profughi sul mercato del lavoro. L’esecutivo ha annunciato una nuova legge per l’integrazione: il pacchetto prevede fra l’altro l’accorciamento da nove a tre mesi del periodo di attesa obbligatorio prima che un richiedente asilo possa cercare lavoro. “Fino a pochi mesi fa lo stesso periodo arrivava a 18 mesi: lo sforzo di integrarli è evidente”, dice al Foglio Joscha Schwarzwälder, esperto del settore lavoro della Fondazione Bertelsmann. Il governo vuole anche permettere ai nuovi arrivati di arrotondare il sussidio da asilanti con le paghe, modeste, degli Ein-euro-job, lavori socialmente utili creati da comuni che, con paghe orarie ridotte, “permettano sostanzialmente ai rifugiati di non restare con le mani in mano durante il disbrigo delle pratiche burocratiche o i tempi necessari a cercare un lavoro”.
Vista dall’Italia l’operazione sembra il contrario di quella varata l’anno scorso, quando Berlino approvò il salario minimo legale. In teoria, l’immissione sul mercato di almeno centomila lavoratori a basso costo permetterebbe alle aziende tedesche di operare un dumping sociale a discapito dei concorrenti europei. “Ma così non è”, assicura Schwarzwälder, ricordando che la prima condizione degli Ein-euro-job è che non siano in concorrenza con posti di lavoro tradizionali. “Tedeschi e profughi godono delle stesse garanzie sul mercato del lavoro”. Lo proverebbero anche le stime sulla disoccupazione dell’Agenzia federale per il Lavoro e quelle del Consiglio economico dei saggi secondo cui nel 2016 il numero dei senza lavoro in Germania salirà di 130 mila unità nel 2016 e di 250 mila l’anno dopo. Con un tappo al Brennero, l’emergenza quantomeno finirebbe. E tuttavia un blocco definitivo dei valichi equivarrebbe a una sostanziale rottamazione di Schengen, un sistema così efficiente che addirittura la Svizzera è entrata a farne parte. Le stime dei danni economici in caso della fine del trattato sono miliardarie, e come sintetizza al Foglio un alto funzionario della Commissione Ue, “senza Schengen possiamo andarcene a casa. Toglierlo di mezzo per davvero avrebbe dei costi materiali, morali e politici incalcolabili”. Ferma al bivio fra Schengen e il Brennero, Merkel non si muoverà fino al 23 giugno, data del referendum inglese sulla Brexit. “Se la Gran Bretagna se ne va, sarà come quando uno sfila un mattoncino dalla base di una piramide”, conclude il funzionario. “Può venire giù tutto”.