Incontri istituzionali a Riad, capitale dell'Arabia Saudita (foto LaPresse)

C'è vita oltre il petrolio? Tutti i dubbi sul riformismo del principe Salman in Arabia Saudita

Gabriele Moccia
Si chiama "Saudi Vision 2030" il piano di diversificazione saudita e ha un obiettivo: rinunciare all'oro nero entro il 2020. Ma il percorso è in salita

Si chiama "Saudi Vision 2030", il piano di riforme volto alla trasformazione economica dell'Arabia Saudita per arginare la dipendenza dal petrolio, messa a dura prova dalla crisi del prezzo del greggio. Il principe saudita Salman l'ha presentato ieri, per la sua approvazione, al re e a tutto il governo di Riad. Dentro c'è un pò di tutto, tra tentativi di diversificazione e trasformazione della produzione, privatizzazioni e snellimenti burocratici, forse non tanto da giustificare, tra i primi commenti a caldo, un giudizio abbastanza tiepido del Fondo monetario internazionale che, per bocca del direttore per l'area del medioriente e dell'asia centrale, Masood Ahmed, ha chiesto al Regno di concentrarsi sulla ricerca di maggiori investimenti privati. "Credo che sia il giusto approccio per intercettare il livello di ambizione anche in termini di scopi generali e diversificati che le sfide economiche dell'Arabia Saudita richiedono", ha fatto sapere.

 

Lo sforzo riformista, nelle intenzioni del principe Salman, dovrà sostentarsi attraverso il Public investment fund, un bazooka finanziario che con i 2 miliardi di dollari previsti in pancia sarà il più grande fondo sovrano al mondo. Il fondo sarà alimentato dal processo di quotazione della principale compagnia petrolifera nazionale la Saudi Aramco. In occasione del vertice di questi giorni, il governo saudita ha dunque confermato il collocamento in borsa del 5 per cento della Aramco, tramite un'Ipo che dovrebbe partire entro la fine del 2016. In'un'intervista alla tv al-Arabiya, Salman ha utilizzato toni aggressivi: "Questo fondo detronizzerà quello norvegese (che pesa 866 miliardi di dollari) e controllerà oltre il 10% della capacità di investimento del mondo". "Il punto chiave del piano di diversificazione saudita - ha spiegato bin Salman - è quello di permettere al Paese di poter vivere senza petrolio entro il 2020. Abbiamo una dipendenza dal petrolio e questa è pericolosa e ha impedito lo sviluppo di molti altri settori in questi anni". Secondo alcuni analisti energetici interpellati dal Foglio, Riad avrebbe nominato come advisor dell'operazione la banca d'affari Jp Morgan e una piccola boutique bank, la Klein & Co, di Micheal Klein, in passato a capo dell'investment banking di Citigroup.

 

Anche questa non sarà una partita facile per il Regno. Le incognite della quotazione e dei possibili e auspicati rientri sono diverse. L'era del cheap oil ha scatenato una vera corsa alle privatizzazioni delle compagnie nazionali petrolifere: il Cremlino ha, a più riprese, manifestato la volontà di cedere pezzi di Rosneft, stessa idea sembra essere balenata al governo algerino, intenzionato a mettere sul mercato quote della propria società, la Sonatrach. Il rischio è quello di un ingorgo di mercato che potrebbe affievolire il valore dell'Ipo più grande, quella di Saudi Aramco per l'appunto. Ad esempio, è molto probabile che i russi, nemici dei sauditi in campo energetico, facciano di tutto per ostacolare la riuscita dell'operazione. Mosca si è detta pronta ad aderire all'accordo sul congelamento della produzione del greggio se i membri dell'Opec raggiungeranno un'intesa sul congelamento dell'accordo, congelamento che i sauditi non possono accettare in quanto limitativo delle capacità produttive della loro compagnia di stato proprio nel momento in cui essa viene messa in vendita. Infine, come ha notato Spencer Jakab sul Wall Street Journal, è lo stesso basso prezzo del petrolio a rendere difficile il raggiungimento del target di 2 miliardi di dollari di ricavi previsti dalla vendita delle quote della Aramco.