Madrid, Re Filippo a colloquio a Palazzo della Zarzuela (foto LaPresse)

Ecco che cosa può cambiare ora che la Spagna va di nuovo al voto

Silvia Ragusa
Fallite le consultazioni per il nuovo governo, elezioni anticipate il 26 giugno. Gli scenari possibili secondo gli esperti di Politikon

Madrid. Re Felipe VI ha già chiamato a sé i candidati: martedì è iniziato e fallito l’ultimo, disperato giro di consultazioni per il governo spagnolo. I leader dei partiti sono stati accolti nel palazzo della Zarzuela per l’ennesimo colloquio con il sovrano, alcuni di loro hanno tentato in extremis di salvare la situazione (Pedro Sánchez, il leader del Psoe, ha proposto un suo governo della durata di due anni e sostenuto da indipendenti: già bocciato da tutti gli altri), ma nessuno si è dimostrato in grado di formare un nuovo esecutivo e il re convocherà nuove elezioni per il 26 giugno. I ruoli sembrano già scritti: il premier facente funzioni Mariano Rajoy, del Partito popolare, continuerà a ripetere che lui è l’unica garanzia per l’unità del paese. Pablo Iglesias di Podemos si vanterà del fatto che nessuno è riuscito ad addomesticarlo. Sánchez e Albert Rivera di Ciudadanos diranno che, loro sì, hanno dimostrato di saper scendere a patti – anche se, in caso di elezioni, torneranno nemici.

 

“Siamo già in campagna elettorale”, dice al Foglio Pablo Simón, fondatore del think tank Politikon, astro in ascesa nel mondo dei media spagnoli: dodici persone provenienti dal mondo accademico, nessuno ha più di quarant’anni. Il gruppo, che riunisce sociologi, economisti, politologi, matematici, ingegneri, dal 2010 ha creato un sito web, Politikon.es, che cerca di studiare la politica spagnola usando un approccio scientifico, fatto di dati e statistiche. “Subito dopo il voto del 20 dicembre la possibilità di un accordo, probabilmente di minoranza, era abbastanza alta. Poi, durante i negoziati, le intenzioni si sono spostate verso nuove elezioni”. Secondo Simón, la maggior parte dei partiti ha spinto per tornare al voto. “La ragione di fondo ha a che fare con l’incertezza. La situazione è molto volatile. E’ come se i gruppi parlamentari si stessero studiando a vicenda. Non si fidano”.

 

Molti analisti spagnoli si sono detti sicuri del fatto che anche con un nuovo voto l’impasse politica non riuscirà a sbloccarsi. Secondo i sondaggi, gli elettori riconfermerebbero più o meno il risultato del 20 dicembre, e si riproporrebbe la stessa situazione di instabilità. Secondo gli analisti di Politikon, invece, potrebbero esserci delle sorprese: “Tornare alle urne non solo potrebbe cambiare il quadro attuale – con il nostro sistema elettorale una manciata di voti determinerebbe uno spostamento di seggi – ma anche dissipare la diffidenza dei partiti”, spiega Simón.

 

Come a dire: la Spagna non è condannata alla paralisi. Questo non significa che, dopo il 26 giugno, non sia necessario scendere a compromessi. “Ci potrebbero essere degli scenari diversi. Ad esempio i popolari e Ciudadanos potrebbero ottenere insieme una maggioranza. O il Psoe potrebbe risultare la terza forza politica, facendosi superare da Podemos. In questo caso si aprirebbe un dilemma per i socialisti: chi sostenere? Mariano Rajoy o Pablo Iglesias? C’è ancora la possibilità che si torni a una situazione simile, ma stavolta la pressione per trovare degli accordi sarebbe più contigente. Il Psoe potrebbe astenersi per permettere a Pp e Ciudadanos di governare, e questo per una ragione semplice: i socialisti potrebbero rischiare di dividersi e cambiare leader”.

 

Si verifica dunque quell’equazione verbale che, cinque minuti dopo il risultato elettorale, si susseguiva tra i corridoi del palazzo presidenziale della Moncloa: il Pp non può fare niente senza il Psoe e il Psoe non può fare niente senza Podemos. “Quel che è certo è che non ci saranno cambi al vertice”, dice Simón. “I partiti potranno risparmiare sui manifesti elettorali. E, dopo il nuovo voto, per la prima volta, cominciare sul serio a negoziare”.