L'ex agente della Cia, Sabrina De Sousa

L'agente Cia De Sousa, Abu Omar e l'America

Giulia Pompili
La brutta storia della donna che può finire in carcere in Italia. Il segreto di stato sulle rendition, i pm italiani e le grazie già concesse da Napolitano e Mattarella. Perché per lei, e solo per lei, l’immunità diplomatica non era stata applicata? Le reazioni del Wall Street Journal e il ruolo del Portogallo.

Roma. La Cia ha abbandonato un suo agente, Sabrina De Sousa. Così ha scritto ieri il Wall Street Journal, commentando la notizia della possibile estradizione in Italia per l’ex dipendente dell’Agenzia d’intelligence americana che fu coinvolta nel rapimento dell’imam egiziano Abu Omar, avvenuto in Italia nel 2003. De Sousa fa parte dei ventisei agenti americani rinviati a giudizio dalla procura di Milano e dai due procuratori aggiunti Armando Spataro e Ferdinando Enrico Pomarici. I 26 sono stati giudicati in absentia, perché tutti i cittadini americani furono portati via dall’Italia prima dell’inizio del processo. Nel 2009 De Sousa è stata condannata a sei anni di reclusione, poi ridotti a quattro. Nello stesso anno si era dimessa dalla Cia, ma nel frattempo su di lei era stato spiccato un mandato di cattura internazionale finalizzato all’estradizione. La donna, sessantenne e ormai ex agente, che ha la doppia cittadinanza portoghese e americana, lo scorso autunno si è trasferita in Portogallo. L’8 ottobre è stata fermata a Lisbona, ha fatto ricorso contro l’estradizione ma la scorsa settimana la Suprema corte portoghese ha deciso: entro il 4 maggio De Sousa verrà a scontare la sua pena in Italia, salvo il caso di un ricorso alla Corte costituzionale di Lisbona. Ma la De Sousa si era già appellata alla Cia e al dipartimento di Giustizia americano. Perché per lei, e solo per lei, l’immunità diplomatica non era stata applicata. Nel rigettare il ricorso, la Giustizia americana aveva spiegato che l’immunità serve per proteggere il governo, non un suo dipendente.

 

“E’ esattamente il principio per cui il governo avrebbe  dovuto proteggere De Sousa. Non farlo è un segnale terribile per tutti gli operativi sul campo”, ha scritto il Wall Street Journal. L’ultima speranza per De Sousa, a questo punto, è la grazia della presidenza della Repubblica italiana. Il capo dello stato, Sergio Mattarella, il 23 dicembre del 2015 ha concesso la grazia ai due agenti Cia Robert Seldon Lady e Betnie Medero. Nel 2013 Giorgio Napolitano aveva firmato lo stesso provvedimento per il colonnello americano Joseph Romano.

 


Abu Omar (foto LaPresse)


 

Il caso Abu Omar quindici anni fa aprì la discussione sulle extraordinary rendition, le attività svolte dai servizi segreti internazionali – anche non sul loro territorio di appartenenza – nell’ambito della guerra al terrorismo post 11 settembre. Il caso De Sousa, dal punto di vista americano, è una complicata vicenda che ha a che fare con la protezione dei propri agenti sotto copertura all’estero. Per quanto riguarda l’Italia, tutto quanto accaduto dal 2003 a oggi – compresa la condanna a sei anni di Abu Omar con l’accusa di associazione per delinquere con finalità di terrorismo internazionale, confermata l’8 ottobre del 2015 dalla corte di Cassazione – è la riprova del difficile rapporto tra la giustizia italiana e le necessarie attività di intelligence.

 

“La signora De Sousa avrebbe potuto evitare i problemi tenendosi lontana dall’Europa, ma ha forti legami familiari in Portogallo”, scriveva ancora ieri il Wall Street Journal. “Il fatto che Roma non conceda la grazia e gli obblighi familiari della De Sousa non sono, comunque, una scusa per Washington per abbandonare uno dei suoi agenti ai capricci politici di pm stranieri”. Proprio così: capricci politici. Perché dietro tutta questa complicata vicenda giudiziaria c’è il nodo del segreto di stato, apposto da quattro diversi governi (Prodi, Berlusconi, Monti, Letta). L’Italia è stata condannata dalla Corte europea di Strasburgo il 23 febbraio del 2015 per aver violato i principi della Convenzione europea per la tutela dei diritti dell’uomo nel caso Abu Omar. Secondo i giudici europei, l’Italia – unico paese ad aver processato un caso di extraordinary rendition americano – ha sbagliato nel non chiedere l’estradizione dei condannati della Cia. Per gli ex agenti del Sismi, che secondo la procura erano coinvolti nella rendition, la vicenda giudiziaria si è chiusa soltanto nel 2014, quando la Cassazione ha assolto Nicolò Pollari, Marco Mancini e altri tre agenti italiani perché “l’azione penale non può essere proseguita per l’esistenza del segreto di stato”. Forse a Washington sanno che ai pm italiani serve un capro espiatorio, e potrebbe essere Sabrina De Sousa.

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.