Politics is not a crime, stupid
In attesa di sapere se i giornalisti hanno ucciso Casaleggio, sparata piuttosto greve del saltimbanco in capo, visto che la Casaleggio e Associati ha diffuso una violenza mediatica senza precedenti contro singoli e categorie professionali o politiche incluse nella blacklist degli avversari, vediamo se i giornalisti italiani fanno con scrupolo il loro lavoro di informazione, analisi, commento in fatto di giustizia. Abbiamo incorporato nella giurisdizione una norma contro il “traffico d’influenza”, e qui solitari abbiamo avvisato che il rischio è quello di una norma che mette fuorilegge il concreto esercizio della politica, che non è e non fu mai un omaggio floreale e si realizza al contrario nel promuovere e realizzare opere e altri atti di governo attraverso il complicato gioco delle influenze intrecciate e scambiate tra diversi soggetti istituzionali e sociali (imprenditori compresi). La ola di giornali e guru televisivi ci ha sommersi, e il ritorno di fiamma della cosiddetta questione morale, non importa quale sia il ceto politico di governo sotto accusa né quali caratteristiche abbia (nuovo, vecchio, di destra, di sinistra), investe sempre più spesso le pratiche del traffico di influenza e del voto di scambio, reati assimilabili nella loro vaga definizione giurisdizionale. Nei giornali e in tv si scrivono e si dicono molte belle cose contro la corruzione, e ci mancherebbe, ma nessuno si occupa dell’effettiva pertinenza e incidenza della legge, e della sua applicazione, in fatti corruttivi. Così si moltiplicano casi di politici e altre figure pubbliche sottoposti a processo penale, e alla relativa gogna mediatica, per atti e comportamenti passibili in molti casi di censura etica e politica, ma non di seria e credibile imputazione criminale (un certo numero di protagonisti della storia subisce anche quantità incredibili di lunga carcerazione preventiva).
Bob McDonnell era il governatore della Virginia. Ieri alla Corte Suprema sono cominciate le audizioni per il suo ricorso contro una condanna per qualcosa di molto simile al traffico d’influenza (reato presente nelle norme americane contenute nel Honest Services Fraud Statute). L’ex governatore ha accettato regali da un imprenditore amico che opera nel settore opulento dei supplementi dietetici (il solito Rolex, un prestito e altre cose già viste da noi). Per questo ha dovuto accettare la sua uscita dalla politica, ma è stato anche condannato da un tribunale per aver compiuto atti ufficiali in favore del suo benefattore. Il problema è che il suo imprenditore di sostegno non ha avuto alcun beneficio da atti pubblici firmati dal governatore. E su questo punto agisce il ricorso e scatta il commento garantista del Wall Street Journal. Sono parole e argomenti civilmente esemplari, che purtroppo, salvo rarissime eccezioni, non leggerete né ascolterete nel sistema dei media italiani.
Ecco. “Di questi tempi gli americani pensano che la maggior parte dei politici è corrotta, ma talvolta la legge deve proteggere il normale business della politica contro pubblici ministeri che inventano violazioni legali anche dove non esistono. (…) McDonnell fu condannato perché presente a un pranzo in cui la compagnia dell’imprenditore offriva contributi alle università, per aver partecipato a un ricevimento con il titolare della ditta, per aver chiesto informazioni riguardanti quel business a un funzionario, e per aver convocato una riunione tra gli operativi della compagnia e il suo staff. Ma questo estende impropriamente le leggi sulla corruzione alle normali transazioni della politica”.
Se queste fossero le regole da far rispettare, e in questo modo, allora Hillary Clinton, che come segretario di stato ha oggettivamente favorito i contatti e gli scambi tra imprese e la Clinton Foundation sua e dell’ex presidente suo marito, dovrebbe essere sottoposta anche lei a procedimento penale. Il giornale cita una memorabile sentenza del compianto Antonin Scalia, approvata con una maggioranza di 6 a 3, in cui si dice che i reati devono essere configurati in modo estremamente preciso, che la corruzione non può che essere uno scambio dimostrato di utilità materiali con atti ufficiali indebiti, e tutto il resto delle norme vaghe e imprecise viola la clausola costituzionale (che anche noi abbiamo) del giusto processo.
Sono concetti semplici, e perfino ovvii, sottoscritti da decine di procuratori e altri soggetti pubblici in una petizione alla Corte in favore di McDonnell, e svolti con coraggio e incuranza della popolarità a buon mercato dal giornalone politico-finanziario più importante del mondo. Quando da noi si parla e straparla della corruzione e di fattispecie di reato esposte all’abuso politicizzato e al pregiudizio, di queste cose bisognerebbe ricordarsi. Il nuovo ciclo sghembo della fantastica questione morale qualche limite dovrebbe trovarlo, almeno in chi ha la cura di una responsabile formazione dell’opinione pubblica.