Helicopter Draghi
"Supponiamo che un giorno un elicottero voli sopra questo paesino immaginario e sganci dal cielo delle banconote. Diciamo 2.000 dollari per ciascun individuo con un reddito di 20.000 dollari l’anno. Queste banconote ovviamente saranno subito raccolte dai membri della comunità”. Così scriveva Milton Friedman, nel 1969, nel suo libro “The Optimum Quantity of Money”. Il futuro premio Nobel per l’Economia, ragionando su tutte le ipotetiche conseguenze di questo caso di scuola, illustrò così i molteplici effetti di una politica monetaria ultra espansiva. Potenzialmente robusti nel breve termine per rianimare l’economia, efficaci nel breve-medio termine per aumentare il livello dei prezzi, ma fondamentalmente nulli nel lungo periodo per alimentare lo sviluppo reale.
Quasi cinquant’anni dopo, con le economie europee e giapponese caratterizzate da inflazione zero e crescita quasi-zero, l’elicottero monetario è tornato nel salotto. E’ lì, tutti lo vedono, inclusi quelli che non vorrebbero pensarci, e da qualche settimana se ne sente bisbigliare con insistenza. Nel 2002 era già successo; l’8 novembre di quell’anno, Ben Bernanke, allora membro del Consiglio dei governatori della più potente Banca centrale del pianeta, la Federal reserve americana, aveva preparato un lungo intervento di celebrazione per il novantesimo compleanno di Milton Friedman. Per l’occasione aveva riletto quasi tutti i testi del professore di Chicago, inclusi quelli sulla Grande Depressione scritti a quattro mani da Friedman e dalla moglie Anna J. Schwartz, testi che esprimevano un giudizio critico sulla Fed degli anni trenta. “Lasciatemi concludere abusando un po’ del mio status di rappresentante della Fed – disse Bernanke in chiusura – Mi piacerebbe dire a Milton e ad Anna, a proposito della Grande depressione, che avete ragione. Ci siamo comportati così e ne siamo molto dispiaciuti. Ma grazie a voi non lo faremo di nuovo”.
I festeggiamenti terminarono ma la lettura degli scritti del maestro Friedman ebbe effetti più duraturi di un piacevole party. Pochi giorni dopo, infatti, il 21 novembre del 2002, Bernanke sorprese una platea di colleghi economisti quando, parlando di scenari (allora) improbabili di deflazione, spiegò che la Fed non sarebbe mai rimasta a corto di contromisure: a disposizione c’erano i tassi d’interesse al minimo, l’acquisto di titoli e asset vari, le finestre di sconto per finanziare direttamente gli istituti privati e infine, appunto, l’elicottero. “Quel discorso sulla deflazione mi ha fatto addossare il soprannome di ‘Helicopter Ben’ – ha ricordato Bernanke nella sua autobiografia pubblicata lo scorso anno – In una discussione sulle possibilità tutte ipotetiche per combattere la deflazione, citai una tattica estrema, vale a dire un ampio taglio delle tasse combinato con la creazione di moneta da parte della Banca centrale per finanziare quel taglio. Friedman aveva parlato in proposito di ‘lancio di moneta dall’elicottero’. Dave Skidmore, che a quel tempo si occupava per la Fed delle relazioni con i media, mi aveva consigliato di cancellare dal discorso la metafora dell’elicottero. ‘Non è il tipo di cose che un banchiere centrale dovrebbe dire, tutto qui’, mi aveva detto. Io gli risposi: ‘Tutti sanno che lo ha detto Friedman!’. Si dimostrò invece che molti investitori di Wall Street non avevano studiato a fondo l’opera di Milton”.
Milton Friedman, economista e premio Nobel per l’Economia
Lo scorso 11 aprile, a quasi mezzo secolo dall’intuizione di Friedman, Bernanke – che nel frattempo è stato governatore della Fed dal 2006 al 2014 – ha rimesso l’elicottero al centro del salotto. Sul sito web della Brookings Institution, pensatoio di Washington, ha dedicato un lungo articolo a questa originale strategia di politica monetaria: “Potrebbe dimostrarsi uno strumento utile. In particolare ha caratteristiche attraenti nel caso in cui politiche monetarie più convenzionali si siano dimostrate inefficaci e in cui il livello di partenza del debito pubblico sia già alto”. Con una precisazione: “Plausibilmente non è negli Stati Uniti che vedremo presto all’opera l’elicottero”. L’idea, grazie a un nuovo endorsement di tale spessore, ha suscitato un plauso più che bipartisan, specialmente tra gli osservatori del malessere europeo o giapponese.
L’elicottero del liberista Friedman, in Italia, piace per esempio al leader di Sinistra italiana, l’euroscettico Stefano Fassina, ma anche a Yoram Gutgeld, consigliere economico del presidente del Consiglio, Matteo Renzi. Il primo sostiene che “dopo tutto, non è chiaro perché sia considerato accettabile finanziare le banche ma non i governi”. Gutgeld probabilmente la pensa più come Guido Tabellini, economista e già rettore della Bocconi, che due settimane fa l’elicottero lo ha portato in prima pagina sul Sole 24 Ore, il quotidiano della Confindustria, scrivendo fra l’altro: “Con i tassi d’interesse a zero o negativi, gli strumenti tradizionali di politica monetaria non funzionano più. E anche gli strumenti non convenzionali a disposizione delle Banche centrali sono quasi esauriti. Eppure, dal punto di vista tecnico, uno strumento per aumentare la domanda aggregata esiste anche nella situazione attuale: è la cosiddetta ‘moneta distribuita con l’elicottero’, per usare le parole di Friedman. Cioè la Banca centrale stampa moneta e la distribuisce ai cittadini, non in cambio di qualcosa (titoli di stato o la promessa di una restituzione futura), ma in modo permanente e a fondo perduto”.
L’Istituto centrale dovrebbe operare cooperando con i governi nazionali: “L’importo trasferito è scelto discrezionalmente dalla Banca centrale, può essere diluito nel tempo, ed è motivato dalle circostanze economiche. I governi non possono in alcun modo interferire con la decisione unilaterale della Banca centrale, ma scelgono liberamente come disporre della somma trasferita: se e come distribuirla ai cittadini, se usarla per finanziare particolari voci di spesa, o per ritirare debito pubblico o per accantonarla pro futuro”. L’elicottero di Friedman ha incantato Oskar La Fontaine, ex ministro tedesco delle Finanze per l’Spd nel 1998 e successivamente fondatore della più radicale Linke, ma anche i suoi connazionali della ben più mercatista Deutsche Bank. Secondo un recente rapporto degli analisti dell’istituto che ha sede a Francoforte, infatti, l’elicottero è questione di sfumature: può prendere la forma di “acquisti di bond governativi da parte delle Banche centrali con annessa espansione fiscale (simile al Quantitative easing), oppure di trasferimenti di liquidità al governo, di cancellazione di porzioni del debito pubblico in pancia alla stessa Banca centrale, o infine di trasferimenti diretti di denaro ai cittadini”. Per Deutsche Bank, “i precedenti storici e l’attuale assetto istituzionale forniscono ampia flessibilità per il finanziamento monetario. In definitiva, è più una questione di desiderabilità politica che di vincoli tecnici o legali”.
Deutsche Bank
Agli effetti benefici della moneta che cade dal cielo crede Adair Turner, oggi pensatore vicino a George Soros e nel 2008 presidente di quella Uk Financial services authority che ha presieduto alla ristrutturazione del settore creditizio e finanziario nel Regno Unito. Nei suoi benefìci sperano anche gli operatori finanziari che Turner un tempo avrebbe dovuto sorvegliare. Per esempio Ray Dalio, numero uno di Bridgewater, il più grande hedge fund al mondo con circa 200 miliardi di dollari in gestione, prevede che le Banche centrali alla fine dovranno entrare nella “fase 3 della politica monetaria”, dopo i tagli dei tassi di riferimento (fase 1) e il Quantitative easing (fase 2), e questo per incoraggiare con più forza la spesa da parte dei cittadini. Francesco Garzarelli, numero uno della ricerca a Goldman Sachs, ha voluto dire la sua a proposito di “helicopter money” sul Financial Times, sottolineando che già oggi le attuali “misure di politica monetaria iper espansiva introdotte in Giappone e nell’Eurozona – dove la base monetaria si sta espandendo ogni trimestre in una misura equivalente al 2,5-3 per cento del pil nominale annuo – hanno sia effetti internazionali sia una dimensione fiscale” e che salire sull’elicottero avrebbe sì “un effetto ancora più potente sulle aspettative generali”, ma potrebbe destabilizzare i mercati. David Mackie, capoeconomista europeo di J.P. Morgan, è intervenuto sul Wall Street Journal: “Questa mossa estrema non sarebbe a costo zero”, già nel breve termine, visto che l’iniezione monetaria nelle tasche dei cittadini farebbe tra l’altro lievitare le riserve bancarie, imponendo una spesa aggiuntiva per le Banche centrali che dovrebbero quindi corrispondere degli interessi.
In poche settimane, insomma, l’idea che centinaia di milioni di cittadini europei possano svegliarsi una mattina con un accredito sul proprio conto bancario disposto dal signor Mario Draghi – anche se questa, come si è visto, è soltanto una delle forme più funamboliche in cui l’elicottero potrebbe palesarsi – ha riconquistato diritto di cittadinanza nel dibattito pubblico. Perfino in Banca d’Italia la formula è stata ufficialmente sdoganata. Il governatore di Palazzo Koch, Ignazio Visco, intervenendo lo scorso 7 aprile a un seminario a Francoforte, ha detto: “Si è riaperto un dibattito sulla cosiddetta ‘helicopter money’. Ovviamente si tratta di una politica ‘molto non convenzionale’, mirata a influenzare direttamente i consumi e gli investimenti delle famiglie e delle imprese. Una misura così estrema sarebbe senza dubbio soggetta a vincoli operativi e legali; le implicazioni redistributive e i legami stretti con la politica fiscale renderebbero il tutto molto complesso, specialmente nell’Eurozona, considerata la cornice istituzionale della stessa. Come ha recentemente notato il presidente Draghi, e come è stato ripetuto da Benoit Coeuré, l’helicopter money non è al momento in discussione nel Consiglio direttivo della Banca centrale europea, anche se nessuno strumento che sia all’interno del nostro mandato può o deve essere escluso a priori”.
Da questa dichiarazione – per quanto originale – del governatore Visco, si evince che l’attuale momento di gloria dell’elicottero non fa scomparire come per incanto i robusti vincoli economici e politici che pure esistono. Innanzitutto perché, per stare alle stesse intuizioni originarie di Friedman, far decollare l’elicottero monetario può essere più semplice che farlo atterrare. “Gli effetti iniziali sembrano positivi. L’aumentata quantità di moneta consente a chiunque abbia accesso alla stessa, oggi tendenzialmente ai governi, di spendere di più senza che nessuno debba spendere di meno – scriveva il premio Nobel nel libro “Money Mischief: Episodes in Monetary History” (1992) – Più tardi gli effetti negativi iniziano a emergere: prezzi più alti, domanda meno esuberante, inflazione e stagnazione assieme. Come con l’alcolizzato, la tentazione diventa quella di accrescere la quantità di moneta ancora più rapidamente. Ci vuole sempre più alcol (o moneta) per dare all’alcolizzato (o all’economia) la stessa spinta”. In altre parole: una volta che l’autorità politica ottiene le chiavi d’accesso per stampare moneta, diventerà difficilissimo resistere alla tentazione di continuare a utilizzarle. Con l’effetto, innanzitutto, di depotenziare lo strumento monetario in sé, e poi di minare a lungo la sostenibilità dell’economia. I precedenti storici non mancano.
Due settimane fa, con ovvia prudenza ma senza precludere nulla, anche il presidente della Bce, Mario Draghi, ha detto la sua sull’elicottero: “Non ne abbiamo parlato in realtà. E’ un concetto molto interessante, ma non l’abbiamo studiato”. Questa settimana, a Roma, è arrivata la risposta a distanza di Jens Weidmann, il presidente della Bundesbank che già in altre occasioni si è espresso criticamente rispetto alle scelte espansive decise (a maggioranza) dalla Bce: “Penso che questa idea debba tornare nel cassetto accademico e non essere discussa nell’ambito della politica monetaria. Altrimenti politica fiscale e politica monetaria si confonderebbero. Inoltre quella di una manna dal cielo è un’idea che non corrisponde a realtà. Se per ipotesi regalassimo qualcosa ai cittadini-contribuenti, ecco che creeremmo da qualche altra parte un buco”. Il governatore, in carica dal 2011 dopo essere stato stretto consigliere della cancelliera Angela Merkel, con i suoi interlocutori cita anche un caso recente che egli ritiene assimilabile all’elicottero, e che pure non avrebbe dato i frutti sperati, anzi avrebbe solo ingigantito l’indebitamento pubblico. Si riferisce al piano approvato nella primavera del 2008 dal presidente americano George W. Bush, fatto di rimborsi fiscali e incentivi alle imprese per un totale di 152 miliardi di dollari nel 2008 e 16 nel 2009, con le singole persone o famiglie che ricevettero un assegno a casa, rispettivamente fino a 600 o 1.200 dollari.
L’elicottero è nel salotto, dunque, anche se nessuno alla Bce, nemmeno Draghi, ha fatto intendere di volerlo vedere presto spiccare il volo. Non a caso il commentatore americano Anatole Kaletsky, quando questa settimana ha auspicato – un po’ romanticamente – un’“Europa romana”, cioè a guida italiana invece che tedesca, prim’ancora di fare l’elenco degli elementi riformatori del governo Renzi, ha lodato il presidente italiano della Bce, definito con enfasi “il primo banchiere centrale ad aver preso sul serio l’idea dell’elicottero monetario”: “La trasformazione a opera di Draghi della Bce nella Banca centrale più creativa e proattiva”, “l’enorme programma di Quantitative easing (acquisto di asset, ndr) che Draghi ha spinto a Francoforte”, hanno “salvato l’euro aggirando le regole del Trattato di Maastricht che impediscono monetizzazione e mutualizzazione dei debiti pubblici”. Elogi come questo non contribuiranno a migliorare l’immagine del presidente della Bce in Germania. Ma aiutano noi a capire che il solo fatto di nominare l’elicottero è diventato un esercizio di diplomazia e di politica che va oltre la mera tecnica monetaria.
Particolare dell'Eurotower, sede della Bce (foto LaPresse)
Non è l’unico fronte aperto da Draghi che, lo scorso 10 marzo, ha detto pure: “Il nostro mandato è raggiungere un tasso d’inflazione che sia vicino ma sotto il 2 per cento nel medio termine. Il che significa che dovremo definire il ‘medio termine’ in maniera tale che se il tasso d’inflazione è stato a lungo sotto il 2 per cento, allora sarà sopra il 2 per cento per un po’ di tempo”. C’è chi, tra gli operatori di mercato, ha inteso queste parole come il primo timido via libera a una rottamazione temporanea dell’ormai celebre soglia del 2 per cento d’inflazione. Alla Bundesbank minimizzano: troppa fantasia interpretativa, dicono in prima battuta; poi sussurrano che Draghi, se preso alla lettera sul 2 per cento, starebbe così modificando uno dei capisaldi dell’azione della Bce, passando da un obiettivo d’inflazione (“inflation target”) a un obiettivo di livello dei prezzi (“price level target”). Quest’ultimo schema prevede che se la Bce in un dato anno si allontana per difetto dall’obiettivo d’inflazione, come sta avvenendo oggi, allora l’anno dopo dovrà elevare il suo obiettivo d’inflazione per generarne di più così da “compensare”. Non c’è bisogno di una decisione formale in questa direzione per capire qual è il pensiero che, secondo Draghi, dovrebbe dunque informare la politica monetaria futura.
Non è detto che alla fine la strada per il “Quantitative easing per il popolo”, come è stata definita giornalisticamente l’helicopter money, dovrà essere percorsa. Tuttavia indicarla da lontano ha già avuto i suoi effetti. Se è vero pure, come ha notato un ricercatore della London School of Economics, Hjalte Lokdam, che da qualche settimana la Bce, descrivendo la propria “missione” sul suo sito web, parla di “popolo europeo”. L’Eurotower ha cancellato infatti la definizione più indistinta “cittadini dell’Europa” e le ha preferito “il popolo dell’Europa”, un soggetto politico più coeso. Un soggetto così politico, “il popolo dell’Europa”, da non essere nominato in nessuno dei Trattati costitutivi dell’Ue o dell’Eurozona. Sostiene Lokdam che è come se la Bce stesse invocando, in anticipo, la formazione di un popolo sovrano di un futuro stato europeo. “Ora il calabrone deve crescere e diventare un’ape vera. Ed è quello che sta accadendo”, disse Draghi nel 2012, subito prima di dirsi disposto a fare “whatever it takes” per difendere l’integrità dell’euro. Con o senza elicottero.