Liberali o nazionalisti? Anche il partito tedesco Afd al test identitario
Milano. L’hanno chiamata l’“offensiva di primavera”, ma si tratta più di un test per sondare gli umori della base. Ufficialmente il congresso programmatico dell’Alternative für Deutschland (Afd) apertosi venerdì a Stoccarda deve dotare il partito di un programma in previsione delle elezioni politiche del 2017. Nei fatti, in questa tre giorni si deciderà da che parte vuole andare il partito, dove collocarsi nel dibattito tedesco e in quello europeo. “Ci sono due anime all’interno dell’Afd – spiega al Foglio il politologo Gero Neugebauer – Quella più nazional-conservatrice liberista si concentra maggiormente sulla politica economica, l’altra di stampo nazional populista è impegnata a salvare l’essenza tedesca”. Se l’Afd dovesse imboccare questa seconda via, una spaccatura prima o poi potrebbe rilevarsi inevitabile.
Così pare pensarla anche Frauke Petry, una dei leader dell’Afd, il volto più noto sui media internazionali. In una recente intervista al settimanale Stern, la Petry ha fatto sapere che nel caso di una radicalizzazione del partito, lei se ne andrebbe: l’ordinamento democratico e liberale dello stato, con tutto quello che ne consegue – cioè no alla violenza, no al razzismo – non sono trattabili. “Nella Germania occidentale resistono, in linea di massima, ancora tabù verso una retorica in odore nazionalsocialista – spiega Neugebauer. Dico però ‘in linea di massima’ perché sono convinto che dietro le quinte anche l’ala più liberista non disdegna l’idea di pescare in un bacino più dichiaratamente di destra”.
A leggere i giornali la svolta è già scritta nella bozza programmatica che i duemila iscritti al congresso sono chiamati a votare. Neugebauer è più cauto. A suo avviso solo alla chiusura dei lavori si potrà formulare un giudizio, e nemmeno allora definitivo. Dalle circoscrizioni comunali e regionali sono arrivate infatti una montagna di richieste di emendamenti, correzioni. In tutto riempiono più di mille pagine. La tre giorni di Stoccarda basterà però giusto per discutere i temi più pressanti: l’Unione europea che, si legge nel documento, deve tornare a essere un’unione di stati sovrani tenuti insieme soltanto da interessi economici, basta con i tentativi di ogni tipo per avviarsi verso una centralizzazione politica. L’euro deve essere abolito, e se il Bundestag non dovesse tener conto di questa richiesta, sarà un referendum a decidere la permanenza della Germania nell’eurozona.
L’Afd vuole inoltre l’introduzione dello strumento referendario nei modi in cui viene impiegato in Svizzera. E infine l’islam. La bozza recita: “L’islam non fa parte della Germania”. Per Alexander Gauland e Beatrix von Storch, i due vice dei partiti, questa dichiarazione è troppo debole. Per questo in varie interviste hanno rincarato la dose, affermando che “si tratta di un’ideologia politica contraria ai princìpi costituzionali”. La bozza prevede inoltre il divieto di costruire minareti, e anche qui c’è chi va oltre, chiedendo il divieto di costruire moschee. Per molti si tratta soltanto di provocazioni, ma intanto il pensiero prende piede. “L’islam e i profughi sono i due terreni più fertili per pescare ancora più a destra dell’Afd – dice il politologo Neugebauer. Non a caso Gauland da tempo si dichiara possibilista verso un’apertura nei confronti del movimento anti islamico Pegida”.
L’esempio austriaco
L’obiettivo dell’Afd è di inserire nel dibattito tanti elementi per far sì che le elezioni politiche del 2017 si rivelino un trionfo pari a quello ottenuto nelle regionali di marzo, quando in tutti e tre i Länder in cui si votava il partito ha ottenuto più del 10 per cento. Nel Land orientale Sachsen-Anhalt, l’Afd si è attestato addirittura secondo, subito dopo la Cdu, con il 24 per cento dei voti (e, stando a quanto scrive lo Spiegel, alcuni esponenti cristianodemocratici del Land non sarebbero del tutto avversi a una coalizione con loro). Che il partito riesca a entrare nel prossimo Bundestag, Neugebauer lo dà per sicuro. Ma la percentuale dei voti che otterrà dipenderà, secondo lui, in massima parte da se e come l’Ue uscirà dalla crisi di identità in cui si trova e da come verrà a capo della questione profughi-migranti. Azzarda una previsione: “Non penso che supererà il 10 per cento, anzi starà molto sotto”.
Di altro avviso è Marcus Pretzell, deputato europeo a capo dell’AfD del Nordrhein-Westfalen. Lui vede già il partito ripercorrere le orme dell’Fpö, il partito nazionalpopulista austriaco che, con il suo candidato Norbert Hofer, ha appena portato a casa uno strepitoso risultato al primo turno delle presidenziali, relegando, invece, i due (ex) grandi partiti, il socialdemocratico Spö e il popolare Övp, a un ruolo marginale. “In Austria la cultura politica dal dopoguerra a oggi è stata dominata dalla grande coalizione. Non così quella tedesca”, fa notare Neugebauer. Certo, in prospettiva preoccupa soprattutto la debolezza crescente dell’Spd, un partito ora molto lontano dalla possibilità di designare un cancelliere. La grande coalizione rischia, dunque, di diventare una costante anche in Germania. Non ultimo perché anche l’Unione perde voti e per questo fa sempre più fatica a costituire coalizioni a due con partiti più piccoli, cioè i liberali dell’Fdp o i Verdi.
C’è chi individua nella politica di accoglienza di Angela Merkel la causa principale del crescente successo dei partiti nazional populisti che stanno guadagnando terreno in tutta Europa, con simpatie sempre più marcate – come conferma anche la bozza dell’Afd – verso la Russia piuttosto che verso la Nato (l’Afd non chiede di uscire dall’Alleanza atlantica, ma vuole una revisione della stessa). “A Merkel va certamente imputata la responsabilità di aver bloccato l’integrazione europea sul piano della solidarietà – dice Neugebauer – E anche di aver favorito il crescente nazionalismo in alcuni paesi, soprattutto nell’Europa centro-orientale. Ma quando in Polonia o in Grecia le caricature la mostrano in versione nazista, non va trascurato il fatto che dietro ci sono ideologie ben diverse”. L’inasprirsi dei fronti sulla politica di immigrazione (e di conseguenza il successo di un partito come l’austriaco Fpö) è dovuto piuttosto a politici di diverso orientamento, ma uniti dalla loro ambiguità: tra questi il politologo cita il britannico David Cameron e l’austriaco Werner Faymann.