La Giovanna D'Arco della vagina
Due anni fa Rokudenashiko, che in giapponese significa "buona a nulla" ed è il nom de plume dell'artista giapponese Megumi Igarashi, è finita sui giornali per aver dato alle stampe (tridimensionali) un kayak che riproduce le fattezze della sua vagina. Insomma una canoa che è una canoa, ma anatomicamente perfetta nella forma di cui è riproduzione. Dopo quella vicenda Rokudenashiko era diventata famosa come l'artista giapponese impegnata in una battaglia ideologica, in lotta contro la censura e contro l'arbitrarietà delle accuse di oscenità. Contro la doppia morale (sessuale) nipponica.
In Giappone, infatti, sebbene l'industria della pornografia sia fiorente come in qualsiasi altro paese occidentale, le immagini delle parti intime sia maschili sia femminili devono essere pixelate per legge, quadrettate, rese irriconoscibili.
Oggi il tribunale di Tokyo ha stabilito che Rokudenashiko non è colpevole per aver immaginato di stampare una imbarcazione a remi un po' oscena, ma – in punta di diritto – per avere diffuso su internet i dati della propria vagina, in modo che chiunque potesse stamparsi una canoa di quel tipo, standosene sul divano di casa. Lei lo aveva fatto per raccogliere fondi per i suoi progetti, ma adesso dovrà pagare una multa di più di tremila euro. Il giudice Mihoko Tanabe (una donna) ha inoltre stabilito che i gadget a forma di vagina venduti/distribuiti (non è ancora chiaro) dalla Rokudenashiko in alcuni negozi di Tokyo e online, beh, quelli non violano alcuna legge.
Fuori dal tribunale di Tokyo, l'artista nipponica è apparsa piuttosto sorridente. La decisione della Corte è infatti un bel lancio promozionale anche per il suo libro appena tradotto in inglese, "Che cos'è l'oscenità?", un manga che ricostruisce la vicenda giudiziaria di Rokudenashiko. Focus della riflessione, il disgusto degli uomini, in una società tradizionale come quella giapponese, per tutto ciò che riguardi la vagina. Ma nel volume c'è anche una denuncia del sistema giudiziario nipponico (dove il 99 per cento dei casi di rinvio a giudizio finiscono con una condanna) e poi sul significato di oscenità, che secondo l'arti. 175 del Codice penale giapponese punisce "tutto ciò che susciti desiderio sessuale", una formula talmente vaga da essere appesa all'interpretazione del giudice.