Se ne va il cancelliere austriaco ondivago sulla crisi dei migranti
Milano. Se n’è andato Werner Faymann, il cancelliere austriaco. Sempre più isolato nel partito, ha preferito dimettersi piuttosto che essere mandato via. Già che c’era, Faymann ha voluto prendere tutti in contropiede, rimettendo anche l’incarico di cancelliere, e la mossa non è stata presa bene: il Partito socialdemocratico (Spö) fa fatica a ottenere il 20 per cento dei consensi e non riesce ad arrestare la deriva populista (alla quale contribuiscono molti dei suoi ex elettori).
Che le cose si fossero messe male per lui era lampante dopo le presidenziali del 24 aprile. Mentre Norbert Hofer, il candidato del partito nazional-populista Fpö, si attestava primo con il 36,4 per cento, aggiudicandosi il ballottaggio del 22 maggio contro l’indipendente (ex leader dei Verdi) Alexander Van der Bellen, il candidato dell’Spö (così come quello del partito popolare Övp) portava a casa appena l’11 per cento dei voti. Già quella sera c’era chi aveva chiesto la testa di Faymann. Dodici sconfitte elettorali di seguito erano più che sufficienti. Lui, stizzito, aveva però replicato: “Sono stato eletto e resto dove sono”. Sapeva però anche lui che i suoi giorni erano contati: al più tardi l’avrebbero pensionato al congresso del partito. Faymann da tempo non riusciva più ad accontentare nessuno, a trovare risposte condivise sui due temi che più agitano la politica austriaca e il partito: come relazionarsi con i populisti dell’Fpö e come gestire a livello nazionale ed europeo la questione dei migranti. Qualsiasi cosa facesse, dicesse, decidesse poteva essere certo che avrebbe aggravato la spaccatura all’interno dell’Spö. E così se n’è andato dicendo ai suoi: “Questo paese ha bisogno di un cancelliere che non solo abbia la maggioranza del partito dietro di sé, ma tutto il partito”. E rivolto al partner di coalizione Övp: “Questo governo ha bisogno di un cambio radicale e vigoroso e chi non dispone di un appoggio completo non può attuarlo”.
Faymann ha lasciato agli altri le crisi con le quali si è ripetutamente scottato le mani in questi mesi. La prima riguarda la linea politica nei confronti dei profughi e dei migranti. Lui aveva provato a seguire semplicemente la corrente: in agosto, vedendo la solidarietà degli austriaci nei confronti dei profughi si era allineato alla politica di accoglienza della Kanzlerin tedesca Angela Merkel. Ma dopo un po’ alla voglia di aiutare era subentrata la preoccupazione, lo sconcerto per il crescente numero di profughi (90 mila l’anno scorso) e la paura di un’invasione, uno spauracchio magistralmente agitato dai populisti dell’Fpö. A quel punto Faymann aveva ceduto alle pressioni del partner di coalizione, l’Övp. Aveva lasciato il passo alla linea dura dell’allora ministro dell’Interno (Övp), Johanna Mikl-Leitner, e di quello degli Esteri, il giovanissimo Sebastian Kurz: chiusura della rotta balcanica, tetto massimo di ingressi all’anno e, ultimo, recentissimo provvedimento, preparativi per chiudere anche il Brennero, qualora gli italiani non dovessero mostrarsi all’altezza dei controlli che competono loro. Mentre la sinistra dell’Spö condannava questi provvedimenti, l’ala conservatrice si mostrava più accomodante: tra i suoi esponenti il ministro della Difesa Hans-Peter Doskozil, e il governatore del Burgenland, che governa la regione più a est del paese (quella che confina con l’Ungheria) con l’Fpö.
Il vicecancelliere Reinhold Mitterlehner e capo dell’Övp guiderà il governo e a prendere in mano la guida del partito ad interim è il potente sindaco di Vienna, Michael Häupl, che aveva ripetutamente criticato il corso ondivago di Faymann e la costruzione delle barriere. Il che potrebbe essere un segno positivo per il futuro, non fosse che Häupl stesso si è dichiarato contrario a una chiusura a priori verso l’Fpö.
Dalle piazze ai palazzi
Gli attacchi di Amsterdam trascinano i Paesi Bassi alla crisi di governo
Nella soffitta di Anne Frank