Tutto sul genero di Erdogan che gestisce il gioco del potere turco
Roma. La ragione migliore per cui il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha costretto la settimana scorsa il premier Ahmet Davutoglu a dimettersi l’ha data Hilal Kaplan, editorialista del giornale filogovernativo Sabah. Il problema non sono stati i dissidi intorno al processo di pace con i curdi o alla gestione dell’economia. Il problema, scrive Kaplan, è che Davutoglu si comportava “come se in Turchia ci fosse ancora un sistema parlamentare”, in cui il primo ministro ha il potere esecutivo. Chi conosce la Turchia sa che è proprio così, il sistema parlamentare è ancora in vigore, le riforme in senso presidenziale volute da Erdogan non sono ancora state fatte. Ma nella concezione di Sabah, che è facile immaginare sia simile a quella che promana dai palazzi di Ankara, il sistema presidenziale, la “nuova Turchia” promessa da Erdogan quando fu eletto alla carica nel 2014, è già vigente, e non c’è bisogno che la legge lo sanzioni. Lo scrisse prima di tutti un altro columnist di Sabah, Berat Albayrak, che nel 2014 sentenziò che “da adesso in poi i politici, i burocrati e tutti gli altri devono essere in armonia con la nuova Turchia, oppure smettere di essere un fastidio”. Quel columnist è il genero di Erdogan – marito dal 2004 di sua figlia Esra – nonché l’attuale ministro dell’Energia e soprattutto è il favorito a sostituire Davutoglu come premier, dopo aver organizzato una lunga e articolata campagna per detronizzarlo.
L'ex premier turco Ahmet Davutoglu (foto LaPresse)
Secondo fonti accreditate dai giornali d’opposizione turchi e confermate da Mehul Srivastava sul Financial Times, Berat Albayrak, uomo chiave nel circolo più ristretto dei consiglieri fidati di Erdogan, e suo fratello Serhat, imprenditore influente tra i media turchi, hanno manovrato per mesi una lunga campagna mediatica e politica per presentare Davutoglu come una figura debole e inerme, un traditore ambizioso ma incapace di governare, e per alienare i suoi alleati all’interno dell’Akp, il partito di governo da lui stesso guidato. Albayrak, 38 anni, studi economici all’estero, era un manager importante del conglomerato economico Calik Holding quando ha sposato Esra Erdogan in una cerimonia faraonica nel 2004, in cui, raccontano le cronache, il suocero Erdogan invitò oltre 7.000 persone, tra cui dignitari e capi di stato, compreso il Primo ministro greco, l’allora presidente pachistano Musharraf, re Abdallah di Giordania. Dopo il matrimonio, la carriera di Albayrak è decollata. Nel giro di due anni era già ceo di Calik. Nel 2008 ha ottenuto un prestito da centinaia di milioni di dollari da una banca di stato per farsi strada nel mondo dei media e comprare proprio il giornale Sabah, poi affidato a suo fratello, e farne la più importante voce filo Akp del paese. Sabah sarebbe in seguito stato rivenduto con enormi perdite, ma è rimasto fedelissimo alla linea governativa, e soprattuto ai fratelli Albayrak. Berat, intanto, guardava alla politica.
Esra Erdogan e Berat Albayrak
Eletto in Parlamento l’anno scorso per la prima volta, la sua nomina immediata al ministero dell’Energia è costata a Erdogan l’accusa sdegnata di voler creare una dinastia – nessuno pensava che il piano dinastico fosse molto più avanzato. Alcuni commentatori dicono che Berat non diventerà premier subito, e anche un consigliere di Erdogan ha detto alla tv nazionale che il prossimo primo ministro sarà una “figura di basso profilo”. Il 22 maggio, data in cui è fissato il congresso dell’Akp per la scelta del prossimo leader del partito e del governo, Erdogan indicherà informalmente il candidato a lui più gradito. Anche se il presidente non ha più alcun potere ufficiale sul partito, tutti i delegati convergeranno sul suo prescelto. Se non sarà Albayrak, ma magari il ministro dei Trasporti Binali Yildirim, o quello della Giustizia Bekir Bozdag, vorrà dire che Erdogan ha deciso di tenere pronto il suo genero per le prossime mosse, magari elezioni anticipate. Le logiche della successione dinastica sono più lunghe di quelle della politica.