Il ritiro dell'Europa
Roma. “L’Unione europea sta collassando e il collasso potrebbe essere accelerato dal bail-out di un paese membro”. Gideon Rachman, da dieci anni capo dei commentatori di politica estera del Financial Times, vede a dir poco nero. “La crisi dell’Unione europea ha a che fare con il progetto in sé, ma anche con una più generale crisi del vecchio mondo”, dice Rachman al Foglio. “L’origine è economica, con la crisi della moneta unica. Ma il progetto europeo era fin dall’inizio troppo ambizioso e ha sottostimato la politica identitaria. L’economia doveva sempre essere forte e in crescita, così da non consentire di pensare ad altro. Vorrei che l’Inghilterra restasse nella Ue, ma non sappiamo come finirà il referendum sulla Brexit, l’opinione pubblica è molto volatile. E’ in corso una vasta crisi di fiducia del progetto europeo. La Ue non ha più il sostegno della popolazione”.
I migranti hanno come scosso il già fragile edificio europeo. “La crisi migratoria non sarà facile da risolvere, perché fa parte di una più vasta demografia che cambia, che preme da sud verso nord e che non c’entra con la pace in Siria. Nel XIX secolo, gli europei hanno popolato il mondo. Adesso il mondo popola l’Europa. E’ un continente ricco che invecchia e la cui popolazione è stagnante. Al contrario le popolazioni di Africa, medio oriente e Asia meridionale sono giovani, povere e in rapida crescita. Al culmine dell’età imperiale, i paesi europei hanno rappresentato il venticinque per cento della popolazione mondiale. Oggi, le persone della Ue rappresentano il sette per cento della popolazione mondiale. Gli europei sono profondamente confusi su come rispondere a queste sfide. Nell’èra imperiale hanno giustificato lo stabilirsi in terre straniere con la convinzione fiduciosa che stavano portando i benefici della civiltà nelle parti più arretrate del mondo. Ma l’Europa post imperiale, post Olocausto, è molto più prudente nell’affermare la superiorità della propria cultura”.
Gideon Rachman, commentatore di politica estera al Financial Times
Secondo Gideon Rachman, ci sono tre scenari oggi per capire questa crisi europea: “Quello drammatico, con la nascita di governi nazionalisti che non vogliono più stare alle regole di Bruxelles. Un misto di migrazione di massa, populismo e crisi monetaria. E’ lo scenario più cupo. Quello fin troppo ottimista è una ripresa della fiducia. Quello più probabile sta a metà, con l’uscita di uno, due paesi dalla Ue e un riassesto. Il declino della ‘anglosfera’, che coinvolge Stati Uniti e Inghilterra, non aiuta il progetto europeo. Obama si è rivolto all’Asia e passerà alla storia come il primo presidente del Pacifico. Gli americani non vedono più l’Europa come strategica, come un player globale. Gli Stati Uniti sono stufi di una situazione in cui l’America da sola rappresenta circa tre quarti delle spese della Nato. Un giorno gli europei si sveglieranno per scoprire che l’esercito americano non è lì per far fronte a qualsiasi minaccia alle frontiere dell’Europa”.
Rachman ritiene decisiva la questione demografica. “L’Europa investe nelle pensioni e non più nella difesa militare. Mogens Glistrup, un politico danese di primo piano, divenne famoso per aver suggerito che il suo paese sostituisse le Forze armate con un messaggio registrato in russo che dicesse: ‘Ci arrendiamo’. Glistrup non è più con noi, ma il suo approccio alla difesa guadagna terreno. La capacità dell’Europa di usare la forza militare sta diminuendo rapidamente, e con essa il potere degli europei nel difendere i loro interessi in tutto il mondo. La Russia sta cercando di riempire questo vuoto di potere, ma sono anche loro molto vulnerabili”. La rinuncia alla libertà di espressione, conclude Rachman, è un altro sintomo. “La reazione alla strage di Charlie Hebdo è stata emotiva, nessun giornale ha più voluto ripubblicare le vignette. E lo stesso caso del comico tedesco Jan Böhmermann lo vedo come un sintomo di questa debolezza europea. Il declino del potere del vecchio continente sarà riempito da poteri non europei. Sono dunque pessimista sul futuro dell’Europa, ma so anche che c’è un limite a ciò che può andare male. E’ sicuro, però, che rispetto alle precedenti generazioni, quelle future non avranno lo stesso livello di pace e di benessere”.
I conservatori inglesi