E se sui cinesi la Regina Elisabetta non avesse poi tutti i torti?
Roma. La scorsa estate il famoso cantante e musicista Gackt – uno che ha venduto cinque milioni di dischi soltanto in Giappone – si trovava all’aeroporto di Parigi in attesa di un volo per l’Italia. Ha raccontato sul suo blog di essere entrato in un bar con terrazza per fare colazione, e di essersi seduto al tavolo migliore, con vista su Parigi. Pochi minuti dopo è stato avvicinato da un cameriere: “Qui non può stare, dovrebbe spostarsi nella sala accanto”. Racconta Gackt che subito dopo è entrato un uomo dai tratti caucasici, si è seduto al tavolo migliore, quello con vista, senza che nessuno gli dicesse alcunché. Poi è entrata una coppia di asiatici, ed stata nuovamente accompagnata verso la saletta separata.
Insomma, Gackt ha intuito che nel bar ci fosse una qualche regola non scritta legata alla razza degli avventori: caucasici da una parte, asiatici dall’altra. La cosa sorprendente della vicenda, però, è che nei commenti online al racconto di Gackt persino i giapponesi – un popolo che fa dell’educazione, della gentilezza e delle buone maniere un orgoglio patriottico – finivano per giustificare la discriminazione razziale subita da Gackt a Parigi. Il motivo? I cinesi. O meglio, le libertà che si prendono alcuni (tanti?) turisti cinesi all’estero: “Gli occidentali non sanno distinguere tra cinesi e giapponesi, e per quanto riguarda i cinesi, beh, li capiamo”. E qui non è il caso di generalizzare, non fosse altro perché l’italiano medio non sempre è civile, perfino dentro i propri confini, ma ecco: il mondo ha un problema con i turisti cinesi. Un problema che a Roma e Milano sarebbe stato risolto con l’invio di quattro poliziotti direttamente dalle Forze dell’ordine cinesi, dispiegati per proteggere – non si sa bene se dagli italiani o da loro stessi – i tre milioni di turisti cinesi che visitano l’Italia ogni anno. Ma ieri è stato diffuso un video in cui la Regina Elisabetta dice, durante una “conversazione privata”, che i funzionari cinesi sarebbero stati “maleducati” durante la visita di stato a Londra del presidente Xi Jinping, lo scorso anno. A giudicare dal tipo di video e dalla sua diffusione per vie ufficiali, la dichiarazione della sovrana d’Inghilterra potrebbe sembrare rubata, ma non lo è.
Ha piuttosto le sembianze di una tirata d’orecchie regale nei riguardi della delegazione cinese, che avrebbe maltrattato sia il responsabile della sicurezza di Londra sia l’ambasciatore britannico in Cina, Barbara Woodward. E qui parliamo di funzionari e diplomatici. Ma la nuova classe media cinese, con il suo potere d’acquisto, è il nuovo mercato del turismo e insieme con i portafogli porta con sé parecchi mal di pancia. Nel 2015 120 milioni di cinesi hanno viaggiato all’estero. Sei milioni in Corea del sud. Tra le mete più amate dai cinesi c’è poi la Thailandia, l’America, il Giappone. E spezzano il cuore le immagini di un mese fa che ritraevano turisti cinesi arrampicati sugli alberi di ciliegio del parco del Castello di Osaka, intenti a scuotere i rami, senza aver capito molto dell’hanami, la fioritura primaverile che in Giappone si aspetta come la notte di Natale qui da noi. Su Weibo, il Twitter cinese, in molti hanno condannato i comportamenti scorretti dei concittadini in vacanza, altri hanno giustificato il gesto, spiegando che quello “è il modo in cui i cinesi apprezzano la bellezza dei fiori”. A fine aprile il governo di Pechino ha lanciato una campagna chiamata “Turisti civilizzati, più punti per i cinesi”, grazie alla quale vorrebbe educare i cittadini cinesi che viaggiano all’estero, evitando figuracce internazionali. Si era già premunita di guida turistica in lingua cinese la prefettura di Hokkaido, nel nord del Giappone. Ad aprile ha pubblicato un libretto sull’“etichetta da rispettare mentre si viaggia in Hokkaido”, piena di immagini più che eloquenti: la carta igienica si getta nell’apposito contenitore, i cibi si aprono solo dopo essere stati pagati, parlare a bassa voce è buona educazione, peti e rutti in pubblico? Meglio di no.