Ceto medio basso. La crisi della classe media americana secondo l'istituto Pew
New York. Una ricerca dell’istituto Pew pubblicata mercoledì descrive il progressivo peggioramento delle condizioni del ceto medio americano, specialmente nelle aree urbane. L’analisi dice che fra il 1999 e il 2014 il reddito medio è cresciuto soltanto in 39 delle 229 aree metropolitane prese in considerazione, e quasi ovunque cala la percentuale degli abitanti che sono nella fascia di reddito media. E’ un fenomeno di erosione che in alcuni casi testimonia una mobilità sociale verso l’alto, ma molto più spesso parla di uno scivolamento in direzione della povertà. La città manifatturiera di Goldsboro, in North Carolina, ha perso il 12 per cento della sua classe media per la crisi occupazionale, mentre a Midland, in Texas, dove l’economia è sorretta dal petrolio, la stessa fuoriuscita racconta di un arricchimento diffuso. “Abbiamo concluso che il restringimento del ceto medio è stato un fenomeno pervasivo a livello locale per quindici anni. In questo, tutte le comunità americane condividono un terreno comune”, ha spiegato il ricercatore Rakesh Kochhar.
La tendenza verso l’estinzione della middle class non è inedita. A dicembre i ricercatori di Pew avevano osservato che per la prima volta in cinquant’anni, la classe media non è il gruppo demografico più nutrito: la somma degli americani che sono al di sopra e al di sotto dei parametri della middle class costituisce la maggioranza della popolazione. Il nuovo capitolo dell’analisi mostra che la tendenza è particolarmente accentuata nelle città, che sono più istruite e dinamiche delle aree rurali. La struttura portante del benessere americano scricchiola sotto la pressione degli stipendi che non crescono e della forza lavoro ridotta ai minimi, nonostante i numeri ufficiali su crescita e disoccupazione siano sulla carta rassicuranti. “Una classe media che arranca rischia di ridurre il potenziale della crescita economica futura”, dice la ricerca. Il trend s’accorda bene con una stagione elettorale dominata dai toni populisti. Se Donald Trump promette protezione alla classe media – ha aperto anche all’aumento delle tasse per i più ricchi, poi come al solito ha ritrattato – Bernie Sanders ha fatto delle diseguaglianze economiche il punto di Archimede per sollevare la sua “rivoluzione politica”, e il messaggio ha fatto breccia anche nella campagna di Hillary Clinton, che veleggia verso la nomination.
La ricerca di Pew offre un grattacapo agli adepti della scuola di Paul Krugman, secondo il quale l’ascesa di Trump non c’entra nulla con le difficoltà economiche della classe media: “Il sostegno di Trump è fortemente correlato con le tensioni razziali: è un movimento di uomini bianchi arrabbiati perché non dominano più la società americana come una volta”. In questa prospettiva tutta sbilanciata sulla razza, appare almeno sospetto che lo speaker della Camera, Paul Ryan, ieri abbia definito “molto incoraggiante” l’incontro con il candidato, prima manovra in una trattativa con il Partito repubblicano che vuole riunirsi innanzitutto intorno ai temi economici. Un’analisi di Nate Silver sugli elettori delle primarie dice che chi ha votato Trump ha un reddito superiore alla media nazionale; è inferiore, però, a quello degli elettori degli altri avversari repubblicani. I più ricchi hanno votato John Kasich. Lo studio di Silver servirà anche, come dice lui, a “sfatare il mito” della working class arrabbiata che risponde al richiamo biliare di Trump, ma non sfata la realtà della classe media in declino.
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