Così in Libia le forze speciali americane e italiane agiscono secondo lo stesso piano
Tripoli, dal nostro inviato. Italia e America seguono lo stesso schema per le operazioni militari in Libia, e questo fatto non stupisce perché i due governi stanno agendo in stretto coordinamento tra loro. Questo schema prevede la presenza di squadre delle forze speciali con il compito di stringere legami con le fazioni locali e di raccogliere intelligence soprattutto sullo Stato islamico e – ecco il punto politico – le squadre sono schierate sia a Misurata, dove risiede il grosso del potere militare del premier Fayez al Serraj, sia a Bengasi, dove invece comanda il generale Khalifa Haftar. I militari di Misurata e il generale Haftar si detestano, e per questo si può dire che Roma e Washington stanno giocando su entrambi i lati della guerra civile libica nella speranza di non perdere uno dei due interlocutori e di portare entrambi verso la riconciliazione. E magari anche a occuparsi dello Stato islamico. Nota doverosa: Serraj a oggi non ha ancora un governo effettivo, è piuttosto una proposta politica che ancora si libra nell’aria, in attesa di materializzarsi, ma intanto sta creando una “Guardia presidenziale” di diecimila uomini a Tripoli.
Ieri ufficiali del Pentagono hanno detto al Washington Post che ci sono “meno di 25 soldati” delle forze speciali americane in due basi in Libia, a Misurata e a Bengasi. Si tratta della conferma ufficiale di un fatto già noto, perché la presenza militare americana in Libia fu rivelata a dicembre da un incidente in un aeroporto militare nell’est del paese, dove un gruppo di commando dei marine fu fermato dopo l’atterraggio, filmato e fatto ripartire – per colpa di un contrasto fra milizie locali. Tutti illesi, ma la segretezza della missione fu compromessa.
Gli italiani agiscono in Libia con un tandem di uomini dell’intelligence dell’Aise e di militari del Nono reggimento d’assalto “Col Moschin”. Secondo informazioni del Foglio, un gruppo ristretto è di stanza nell’aeroporto internazionale di Benina che serve Bengasi già almeno dall’inizio di aprile e, a differenza degli americani che restano chiusi nel loro compound, esce in missione di ricognizione. Una quindicina di soldati francesi opera nella stessa area da febbraio, secondo notizie date da Reuters e dal Monde.
La presenza di italiani a Misurata è più nascosta. In questi giorni il portavoce del comando di Misurata, il generale Mohamed al Gasri, ha accompagnato il Foglio dentro l’immensa struttura dell’aeroporto militare di Misurata, ma soltanto in un’ala. Alla domanda: ci sono italiani? Gasri ha risposto: “Civili no. Militari non posso rispondere”. L’area dell’aeroporto contiene numerosi edifici considerati di massima sicurezza, per esempio il carcere con i prigionieri dello Stato islamico, e potrebbe ospitare un gruppo come a Bengasi. Secondo un articolo pubblicato a fine febbraio dal quotidiano britannico Telegraph, di sicuro ospita forze speciali inglesi. Ieri per la seconda volta quest’anno un aereo militare italiano è atterrato per portare a Roma alcuni combattenti di Misurata feriti negli scontri di questi giorni contro lo Stato islamico a sud-est della città, in direzione di Sirte. Questi voli presuppongono un buon livello di contatti a Misurata e sono scortati da piccoli contingenti del Col Moschin, che è la stessa unità coinvolta nel lavoro sul campo.
La relativa immobilità della campagna contro lo Stato islamico in Libia sta per cessare. Secondo fonti locali del Foglio, il gruppo estremista è riuscito a fare entrare sei autobomba dentro Misurata e l’intelligence della città non è ancora riuscita a localizzarle.