La quarta rivoluzione industriale è in Africa
La Quarta Rivoluzione Industriale sbarca in Africa. Già a gennaio “Mastering the Fourth Industrial Revolution” era stato il tema del 46simo World Economic Forum di Davos, sulla base del libro uscito l’11 gennaio e firmato Klaus Schwab. E dell’“Africa’s Fourth Industrial Revolution” si è parlato molto anche durante il 26esimo World Economic Forum on Africa che si è tenuto dall’11 al 13 maggio a Kigali, capitale del Ruanda: 1200 partecipanti provenienti da una settantina di Paesi, tra cui dieci capi di stato e di governo. Tema: “connettere le risorse dell’Africa attraverso la trasformazione digitale”. “Lo sviluppo delle infrastrutture deve essere una priorità a livello nazionale, regionale e continentale”, ha proclamato il presidente ruandese Paul Kagame. “Solo con le infrastrutture l’Africa potrà intraprendere la sua Quarta Rivoluzione Industriale”.
Schwab, economista e ingegnere tedesco, è stato il fondatore del World Economic Forum, e tuttora ne è il presidente esecutivo. Nel suo libro spiega come la Prima Rivoluzione Industriale del XVIII meccanizzò la produzione grazie all’uso della macchina a vapore, la Seconda Rivoluzione Industriale di fine XIX secolo lanciò la produzione di massa grazie all’elettricità e la Terza Rivoluzione Industriale degli anni ’70 del XX secolo automatizzò la produzione grazie al digitale e all’elettronica. La Quarta Rivoluzione Industriale, invece, mette assieme l’Internet delle Cose e l’Internet dei Servizi.
Mentre Schwab si preoccupava di far crescere Davos, Paul Kagame era un capo guerrigliero, comandante del movimento armato che rovesciò il regime responsabile del genocidio del 1994, con un milione di vittime. Il Ruanda, che 22 anni fa fu teatro di una delle maggiori tragedie del XX secolo, sta crescendo a ritmi superiori a quelli della Cina, insieme a Etiopia, Costa d’Avorio e Congo, con medie tra il 7 e il 10 per cento l’anno. Una media quasi doppia a quella di un’Africa sub-sahariana che, come ha ricordato al Forum di Kigali il primo vice direttore generale del Fondo Monetario Internazionale David Lipton, grazie alla domanda di commodities ha conosciuto una crescita continua di 15 anni.
È vero che tra il 2014 e il 2015 il ritmo è calato dal 4,5 al 3 per cento, ma la previsione dello stesso Fmi è che tra il 2016 e il 2020 sarà comunque la seconda regione a maggior crescita del mondo, con una media del 4,3% all’anno. In più, come ha riconosciuto sempre a Kigali il direttore esecutivo di Oxfam International Winnie Byanyima, “le economie africane stanno iniziando a diversificarsi, anche se si tratta di un processo ancora alle primissime fasi”.
Kagame e altri hanno ricordato come la Quarta Rivoluzione Industriale in Africa richieda un forte coinvolgimento dello stato per realizzare le infrastrutture, e il presidente ruandese in particolare si è vantato dei 4000 km di fibra ottica del Paese. Il presidente della African Development Bank (AfDB) Ayodeji Adesina ha annunciato che investirà di 12,5 miliardi di dollari in 5 anni per un New Deal di elettrificazione del Continente.
Ma, come ha aggiunto il presidente del Kenya Uhuru Kenyatta, più importante ancora è attrarre il capitale privato, rimuovendo sia le barriere doganali che i lacci e lacciuoli all’imprenditoria del singolo. E in effetti in Ruanda il boom economico è stato avvantaggiato anche da un modello di burocrazia relativamente business friendly. Kenyatta ha pure ricordato l’importanza di puntare sui giovani, e la vedova di Nelson Mandela Graça Machel ha detto di non lasciare indietro le donne. Anzi, ha pregato “di non lasciare indietro nessuno, come purtroppo hanno fatto le prime tre rivoluzioni industriali”. Una priorità particolarmente acuta, in una regione dove, accanto a realtà in cui il pil sta crescendo a livelli tra i più alti del mondo, ve ne sono altre dove carestie, malattie, guerre, terrorismo e sottosviluppo generano il flusso di fuggiaschi che sta sommergendo l’Europa. Uno scenario che Kagame ha ben presente quando chiama a costruire “un Continente libero dal compatimento e dall’apprensione, e luogo invece di opportunità e partnership".
I conservatori inglesi