La gran rivoluzione dell'università inglese tutta merito e responsabilità
Milano. Il Libro bianco sull’istruzione presentato lunedì in Inghilterra ridefinisce, scrive il Guardian, gli ultimi cent’anni di rapporti tra le università, lo stato, i professori e gli studenti. Il governo conservatore di David Cameron lavora da tempo a questa rivoluzione, perché l’eccellenza britannica va a braccetto con il suo sistema universitario, che in questi anni ha iniziato a mostrare qualche rigidità di troppo. Soprattutto: un quinto dei laureati non trova lavori adeguati al titolo di studio; circa due terzi degli studenti dicono che il corso di laurea è stato inferiore alle aspettative; le aziende si lamentano del fatto che dalle università non escono potenziali dipendenti sufficientemente preparati e, secondo il Chartered Institute of Personnel and Development, più della metà dei laureati ha un’occupazione per la quale la laurea non serviva nemmeno (ci si è indebitati per niente, insomma, e la possibilità che il debito sia ripagato s’abbassa).
La revisione era necessaria e a portarla a compimento è stato il ministro delle Università, Jo Johnson, il fratello dell’ex sindaco di Londra Boris Johnson, che ha lavorato per anni al Financial Times ed è poi stato cooptato da Cameron nell’ufficio in cui si decide la strategia di governo (Jo, al contrario di Boris, è contro la Brexit, e anche se si prende spesso la briga di difendere il fratello “mal compreso” non si è ribellato al diktat europeizzante di Cameron). I princìpi che ispirano la riforma sono competizione e trasparenza, perché Johnson è convinto che per troppo tempo varie forme di nepotismo, ostruzionismo e barriere all’entrata hanno corrotto lo spirito liberale e meritocratico del sistema universitario britannico. Per questo ha prima di tutto liberalizzato il mercato delle università: da questo momento, non saranno più le università esistenti a decidere quali altri atenei o corsi possono essere aperti (finora è stato così per un’esigenza di armonizzazione dell’offerta scolastica), “sarebbe come se Byron Burger dovesse chiedere il permesso a McDonald’s per aprire un nuovo ristorante”, ha detto Johnson. Le università esistenti che non dimostrano di mantenere alti i propri standard non saranno più “salvate” dal governo: se scendono nella classifica degli atenei più meritevoli, dovranno abbassare le loro rette, incentivando così ogni ateneo a garantire un’offerta scolastica adeguata al proprio costo. Se invece un’università dimostra di avere corsi eccellenti, potrà adeguare le rette all’inflazione, alzandole, nei prossimi due anni.
Per far sì che la competizione sia equa, il Libro bianco prevede l’istituzione di due organi: devono essere anche gli studenti “a guidare il cambiamento”, secondo quella “rivoluzione della trasparenza e della responsabilità” che è stata introdotta nel dibattito conservatore da Steve Hilton, ex guru a piedi scalzi di Cameron. Ci sarà un Office for Students, che permetterà agli studenti di valutare l’operato dei professori sulla base di regole prestabilite in modo da evitare che l’organo si trasformi, in poco tempo, in un ufficio reclami per gli studenti e ancor più per i loro apprensivi genitori. Questo ufficio lavorerà assieme al Teaching Excellence Framework, un meccanismo che permette di stilare una classifica di eccellenza per i corsi, i professori e gli atenei. Se due operazioni trasparenza si devono confrontare, è più probabile che i dati sfornati siano attendibili, che capricci, nepotismi e baroni si ritrovino esclusi, e che il prezzo del prodotto sia quello giusto.