Corte suprema bloccata e suore agguerrite rianimano la libertà religiosa in America
New York. La Corte suprema americana è bloccata. La morte di Antonin Scalia ha lasciato soltanto otto giudici in (quasi) perfetta parità – quattro liberal e quattro conservatori – e la nomina di Merrick Garland, scelto da Barack Obama, al momento latita nelle nebbie della campagna elettorale (ieri, per dimostrare la sua buona fede conservatrice e aumentare la confusione, Trump ha pubblicato una lista di undici potenziali giudici che nominerebbe una volta alla Casa Bianca). Così l’America si trovacon il massimo organo del potere giudiziario monco, azzoppato, “diminuito”, come scrive dolente il New York Times. E’ un’ottima notizia. Lunedì la Corte ha decretato all’unanimità una vittoria per le Piccole sorelle dei poveri, ordine di suore in lotta con l’Amministrazione Obama perché la riforma sanitaria le obbliga a offrire la copertura per i contraccettivi ai dipendenti che lavorano nelle loro opere di carità, violando dottrina e coscienza. E’ un caso di scuola della disputa sulla libertà religiosa. La Corte monca, azzoppata e diminuita non si è espressa nel merito, ma in una rara esibizione di compostezza e misura ha rimandato il caso ai tribunali inferiori, dicendo che esiste lo spazio per trovare un compromesso ragionevole.
Compromesso ragionevole significa che le suore e migliaia di ordini, associazioni, scuole, ospedali e università di ispirazione religiosa sono autorizzate a una reale – e non solo simbolica – esenzione senza che ciò comporti uno snaturamento o addirittura una revoca della legge. La pratica di non stabilire con un atto giuridico forte, emanato dall’alto, ciò che può essere accomodato ragionevolmente nel contesto della giustizia ordinaria, ha una lunga tradizione per il potere “più vicino al nulla”, come lo definiva Alexander Hamilton, ma l’atteggiamento di distacco è stato progressivamente sostituito dall’attivismo giudiziario, e nelle ultime generazioni la Corte si è trasformata in un organo legislativo suppletivo, con la differenza che i giudici sono nominati dal presidente e stanno in carica a vita. Nove persone non elette dal popolo hanno deciso aspetti fondamentali della vita sociale americana, dall’orario di lavoro settimanale all’aborto e al matrimonio fra persone dello stesso sesso.
La decisione di lunedì è una vittoria per le suore, alle quali viene confermato che esiste, deve esistere, uno spazio di libertà religiosa che non sia soltanto nel convento e nella sagrestia, ma è una più generale vittoria per i critici dell’attivismo giudiziario, in particolare gli originalisti che avevano in Scalia il loro modello di riferimento. Si capisce la rabbia dei liberal del New York Times, secondo cui la Corte avrebbe dovuto “decidere in favore del governo” confermando una sentenza d’appello contro le suore. “Il lavoro della Corte non è proporre complicati compromessi ai ricorrenti, ma dare la parola finale nell’interpretazione della Costituzione e delle leggi. Nonostante ciò che pensano i repubblicani al Senato sul fatto che non c’è un vero danno nel rimandare la nomina, la Corte non può svolgere il suo lavoro senza il pieno organico”, scrive il Times, abbracciando il paradigma dell’attivismo giudiziario e lasciando intendere che la Corte è un meraviglioso strumento di civiltà quando dà ragione ai liberal. Quando dà loro torto non sta facendo “il suo lavoro”. Per tutta la vita Scalia si è battuto per il “restraint” dei giudici, la moderazione nel decidere, anzi lo zelo nel respingere ciò che spetta ad altre aule stabilire, ma soltanto dopo la morte il suo desiderio s’è avverato. Mai assenza fu tanto presente.