Naím guarda lontano: stato fallito, scenario siriano
Ma davvero c’è un problema nella Costituzione della Quinta Repubblica venezuelana che la rende ingestibile quando non c’è al potere un personaggio con il carisma di Chávez? In proposito abbiamo sentito l’opinione di Moisés Naím: il noto economista e politologo, che prima di essere per 14 anni editor in chief di Foreign Policy era stato per un anno ministro del Commercio e dell’industria, nel Venezuela pre Chávez. Secondo lui, “in realtà la Costituzione non funziona perché Chávez e i suoi non l’hanno mai voluta far funzionare in modo democratico. Anche prima di Maduro, ogni volta che Chávez perdeva una battaglia politica cambiava arbitrariamente le regole del gioco in modo da annullare gli effetti di questa sconfitta”. Insomma, un nuovo tipo di autoritarismo, che evita gli estremi del partito unico, ma della democrazia mantiene solo la facciata. Naím confida al Foglio che secondo lui nell’immediato in Venezuela non c’è rischio di guerra civile. “Per una guerra civile ci vogliono due eserciti contrapposti, e in Venezuela le armi ce le hanno solo i chavisti”.
L'economista e politologo Moisés Naím
Però c’è un possibile scenario di anarchia, che in un secondo tempo potrebbe portare il paese a una situazione di tipo libico o siriano o iracheno di stato fallito, spartito tra vari potentati rivali. Secondo Naím, non aiuta a sventare questo pericolo una narrazione che spesso viene fatta, e che cerca di scomporre il blocco chavista e il blocco antichavista in gruppi contrapposto da una dialettica politica più o meno normale. “Immaginare di trovarsi di fronte a un governo democraticamente eletto di fronte a un’opposizione significa non capire niente della catastrofe che sta accadendo”. Sbagliata per Naím anche l’altra narrazione che tende a imporsi e che attribuisce il disastro alla mera incapacità di Maduro. “Se Chávez fosse ancora vivo, si troverebbe di fonte a una catastrofe analoga”. E sbagliato è anche attribuire tutti i problemi a quella maledizione petrolifera dei cicli e dell’eccessiva dipendenza di cui è perita anche la Quarta Repubblica venezuelana. “Quello che bisogna capire è che con Chávez c’è stata una distruzione di ricchezza e di capacità produttiva assolutamente straordinaria. Il Venezuela ha tutto il potenziale per produrre sei milioni di barili al giorno, invece ne sta producendo meno di due. Paesi che sono stati in guerra non hanno sofferto devastazioni economiche del livello di quella sofferta dal Venezuela. Questa è una cosa che ancora nessuno ha spiegato!”.
E proviamo allora a spiegarlo. Anche in Ecuador e in Bolivia Rafael Correa e Evo Morales sono stati presidenti populisti e autoritari. Eppure lì l’economia è andata bene. “In realtà Correa e Morales hanno lanciato slogan populisti, ma hanno continuato un’economia neoliberale. Correa faceva prediche contro gli Stati Uniti senza sognarsi di togliere il dollaro come valuta dell’Ecuador”. C’è un altro elemento. Pur disprezzando allo stesso modo l’opposizione, Correa e Morales nei confronti di imprenditori e ceti medi produttivi hanno adottato una strategia di seduzione: hanno offerto loro di partecipare ai benefici di una politica di investimenti resa possibile dalle risorse petrolifere. Chávez e Maduro hanno invece cercato di distruggerli, quasi nell’idea che ogni persona con capacità produttiva fosse un nemico potenziale del regime. Perché questa differenza? E’ possibile che sia stata la maggior dipendenza del Venezuela dal petrolio a generare questo delirio di onnipotenza?. “E’ possibile. Questa è un’idea interessante. Un leader che pur avendo risorse petrolifere a disposizione non oltrepassa un certo limite può effettivamente essere più prudente nella gestione dell’economia”. E qui siamo venuti al quadro regionale: dalla nuova Argentina di Macri all’impeachment a Dilma. “Un quadro di crisi generale, in cui nessuno può dare una mano a risolvere i problemi altrui perché deve prima risolvere i propri. Ironicamente, il paese che più potrebbe avere influenza in Venezuela sarebbe la Cina. Ma per ora non sta facendo niente”.