Nel nuovo maggio francese il sindacalista Martinez sfida Valls
Parigi. Il presidente della Repubblica francese, François Hollande, ha detto ieri che il paragone con il maggio ’68 avanzato da certa stampa è improprio, che questa Francia paralizzata da una sequela di scioperi, blocchi e manifestazioni contro la riforma del lavoro “non ha nulla a che vedere” con la Francia del maggio parigino, delle barricade alla Sorbonne, della contestazione operaia nelle fabbriche Renault. E però mai nella Quinta Repubblica la Francia aveva vissuto una primavera così incandescente, mai, dopo il ’68, un governo si era dovuto confrontare a una protesta così dura, a un’avversione così frontale, oltranzista e capillare come quella guidata oggi dai sindacati, la sinistra giacobina, gli attori della funzione pubblica, accanto agli studenti indignati di Nuit Debout. Ieri, ad aggravare la situazione, si è aggiunto il blocco delle otto raffinerie presenti sul suolo francese, che hanno risposto allo sciopero indetto dalla Cgt, il supersindacato rosso, provocando innumerevoli disagi agli automobilisti, ai camionisti, e a tutti coloro che sono dipendenti dalla circolazione del carburante. Secondo quanto dichiarato dal sottosegretario di stato ai Trasporti, Alain Vidalies, il 20 per cento delle stazioni di servizio è rimasto senza benzina, e a metà giornata il Figaro raccontava che 25 navi che dovevano trasportare gas e idrocarburi sono state costrette a restare attraccate al molo per il blocco del deposito di carburante di Fos-sur-Mer, vicino a Marsiglia. Mentre le forze dell’ordine continuavano a sbloccare gli accessi alle raffinerie e ai depositi di carburante tra le proteste accese dei manifestanti, ieri pomeriggio molte prefetture lanciavano appelli alla “responsabilità” per evitare che la paralisi causata dallo sciopero della Cgt non si estendesse ad altri siti industriali.
“Il blocco” delle raffinerie è “sostenuto da una minoranza” che tiene in ostaggio una maggioranza, ha attaccato il presidente Hollande, mentre il gigante del settore petrolchimico Total, che lavora con cinque delle otto raffinerie, ha minacciato di rivedere i suoi progetti di investimento in Francia se lo sciopero continuerà a oltranza. L’esecutivo, dalla ministra del Lavoro, Myriam El Khomri, al premier, Manuel Valls, assicura che non ci saranno passi indietro sulla riforma del lavoro, che la loi El Khomri non sarà ritirata come reclamano i suoi avversari. “Tenere in ostaggio il popolo francese non è democratico (…) La Cgt troverà una risposta estremamente ferma”, ha detto Valls a margine della sua trasferta in Israele, puntando il dito contro il sindacato guidato da Philippe Martinez. “L’idea di un conflitto frontale è vecchia, è conservatrice”, ha aggiunto il primo ministro, definendo “immobilista” la strategia di radicalizzazione della Cgt che ha preso le redini della mobilitazione nazionale anti riforma del lavoro.
Quello tra Valls e Martinez è lo scontro massimo tra due visioni opposte della gauche, tra chi la vuole riformare portando la Francia nel Ventunesimo secolo e chi invece rimane aggrappato a totem desueti, anteponendo l’ideologia al pragmatismo. Martinez, che salì al vertice della Cgt invocando un passaggio dalle 35 alle 32 ore di lavoro settimanali, è ora il commander-in-chief dell’opposizione alla loi travail, minaccia il premier e il suo “gioco pericoloso” con i sindacati, e per il Monde è lui, più dei frondisti e del Front de Gauche di Mélenchon, il vero “leader dell’opposizione di sinistra”. Dopo le raffinerie, i porti e gli autotrasportatori, la Cgt invoca una “generalizzazione” degli scioperi illimitati, a cominciare dalla Ratp, la società dei trasporti parigini, con l’obiettivo di bloccare le capitale e influenzare lo svolgimento degli Europei di calcio che inizieranno il prossimo 10 giugno. Si tratta di uno “sciopero generale che non dice il suo nome”, scrive l’Huffington Post francese, ma che ha “l’obiettivo chiaro di paralizzare il paese per obbligare l’esecutivo a cedere”.