Socialdemocrazia in ritirata. Dopo l'Austria, la Germania?
Berlino. Una grande nave che sta perdendo la rotta. Oppure “un barboncino al guinzaglio di Angela Merkel”, nell’immagine del politologo Gero Neugebauer. Nessuna delle due rappresentazioni fa onore all’Spd, il Partito socialdemocratico tedesco nato a Gotha nel 1875 dalla fusione di due formazioni operaie. Le regionali dello scorso marzo sono andate male né i sondaggi promettono alcunché di buono. La sorte dei cugini austriaci, che per la prima volta dalla Seconda guerra mondiale non hanno nemmeno superato il primo turno alle elezioni presidenziali, non fa ben sperare. Solo in Renania-Palatinato i socialdemocratici tedeschi hanno tenuto rispetto alle scorse elezioni, rosicchiando mezzo punto percentuale grazie alla personalità di Malu Dreyer, oggi governatrice. Nel ricco e meridionale Baden-Württemberg due mesi fa l’Spd è invece sprofondato dal 23,1 per cento al 12,7. Qui i suoi voti sono confluiti sul popolarissimo e riconfermato Ministerpräsident, il verde Winfried Kretschmann. La botta è stata forte, e per il contraccolpo l’Spd è uscito dalla sala comando del Land, sostituito da Kretschmann con i cristiano-democratici. La stessa dinamica si è però osservata anche nell’orientale e meno ricca Sassonia-Anhalt dove l’Spd è precipitato dal 21,5 per cento al 10,6, arrivando quarto e prendendo la metà dei voti dei populisti di Alternative für Deutschland. Fondata nel 2013, AfD chiede il ritorno al marco tedesco e lo stop alla costruzione delle moschee.
Anche a livello federale i numeri non sono buoni per l’Spd. Alle ultime elezioni (settembre 2013), il partito storico della sinistra tedesca ha ottenuto il 25,7 per cento: meglio del misero 23,5 per cento del 2009, ma quello era stato il peggiore risultato dal Dopoguerra e secondo i sondaggi se si votasse domenica prossima la formazione del vicecancelliere Sigmar Gabriel non otterrebbe più del 19,5 per cento. Un disastro per chi, in anni recenti, ha navigato attorno al 40 per cento. Non stupisce dunque che dall’interno della Willy-Brandt-Haus a Berlino le pressioni affinché Gabriel faccia un passo indietro siano in aumento. E tuttavia attribuire una crisi di tale portata a un uomo solo sarebbe riduttivo. Già a fine 2013 Gero Neugebauer, una cattedra alla Freie Universität della capitale tedesca e una vita dedicata allo studio dei socialdemocratici, aveva previsto la serie nera. “L’Spd subirà ‘l’effetto vedova nera’ dell’alleanza con Angela Merkel”, aveva profetizzato al momento del varo della Grosse Koalition con i conservatori, ricordando la peculiare capacità di Merkel di attribuirsi ogni merito dell’azione di governo, scaricando le difficoltà sugli alleati. L’Spd – aveva messo in guardia Neugebauer – avrebbe dovuto imparare la lezione dei liberali che, partiti nel 2009 da un robustissimo 14,6 per cento, governarono assieme alla cancelliera fino al 2013 per restare alle elezioni di settembre fuori dal Bundestag, fatto mai accaduto dal 1949.
A dispetto dei risultati ottenuti negli ultimi mesi, come aver imposto a Merkel la legge sul salario minimo o la pensione a 63 anni per alcune categorie di lavoratori, l’Spd sconta la pigrizia di mezza dirigenza secondo cui implementare l’accordo di coalizione è una strategia sufficiente. “Manca invece una visione per il futuro, mancano risposte alle sfide di come garantire la sicurezza sociale davanti all’avanzata della globalizzazione”, dice Neugebauer al Foglio. Peggio ancora, il partito non si è neppure dotato di strumenti per reagire al presente, a cominciare dalla crisi dei profughi: “Quando Merkel li ha accolti, Gabriel si è semplicemente detto d’accordo. Non ha proposto alcuna distinzione legale fra rifugiati e migranti economici, né si è preoccupato di rassicurare la base”. Abbandonati davanti all’ondata migratoria, gli Herr Müller e le Frau Meyer sono stati lasciati in balìa delle sirene xenofobe di AfD che ha mietuto consensi tanto fra i conservatori dell’ovest quanto fra i diseredati dell’est. L’Spd non ha poi fatto alcuno sforzo per guadagnare visibilità, “e non ha mai sollevato alcun conflitto con Merkel”, un’attività a cui per esempio i cristiano-sociali bavaresi si sono dedicati a tempo pieno. Quello di Gabriel ha dimostrato di essere un partito richiuso su se stesso anziché impegnato ad affrontare le sfide del presente a cominciare dall’integrazione europea e dalla crisi dei profughi. Neugebauer vede una formazione divisa fra chi è soddisfatto del lavoro compiuto e chi vorrebbe invece essere all’opposizione. I due buoi tirano da parti opposte e il carro resta fermo, “mentre Gabriel, rieletto al congresso di dicembre con solo il 74 per cento dei voti, non ha la forza di imporre una linea chiara”.
A oggi l’Spd resta il partito con più iscritti, con più primi ministri e ministri regionali, e con più sindaci; allo stesso tempo è una formazione senza politiche chiare “che sta perdendo la capacità di esprimere una leadership”. Il partito condivide poi un problema con la Cdu di Merkel: la mancanza di un successore. Lontane, all’orizzonte si stagliano due figure femminili: una è l’attuale ministra del Lavoro Andrea Nahles “che sta tanto ferma e ricorda molto Merkel, ma non credo che sarà pronta prima del 2021”, aggiunge Neugebauer. L’altra papabile candidata cancelliera potrebbe essere Hannelore Kraft, attuale primo ministro del popoloso Nord Reno-Vesftalia, ma il calendario gioca contro di lei: il suo Land va al voto a maggio del 2017 e le legislative sono a settembre dello stesso anno. Se corre da governatrice non può farlo da cancelliera. Intanto, nel vuoto della politica, “gli elettori non capiscono da che parte sta andando il partito; invece si accorgono bene che la discussione senza fine su chi possa essere il miglior candidato alla cancelleria è un segno di debolezza”. Peggio di loro stanno solo i cugini austriaci: “Perlomeno da noi il termine socialdemocratico non fa rima con establishment. Per ora”, conclude il professore.