Valls nega la cittadinanza a Ramadan, star islamica delle banlieue
Roma. Sulla carta, la richiesta di cittadinanza francese è più che legittima: sua moglie è francese, i suoi quattro figli pure ed è in Francia che il predicatore svizzero Tariq Ramadan è emerso nei primi anni Novanta. Ha preso la decisione di chiedere la cittadinanza dopo la proposta della privazione della stessa agli islamisti, voluta da François Hollande il 16 novembre dopo gli attentati di Parigi e mai approvata. E’ allora che Ramadan ha lanciato la sua sfida al governo. “Voglio inviare un messaggio: l’islam è parte della Francia”. Di questi giorni la risposta del premier Manuel Valls, che ha detto che “non c’è alcun motivo” di dare la nazionalità a Ramadan. “Quando si aspira a essere francesi, bisogna aspirare a condividere determinati valori”, ha detto Valls alla radio ebraica di Parigi Radio J prima di partire per Israele. Ramadan manda “un messaggio contraddittorio” e proprio tali “ambiguità sono il terreno su cui attecchiscono violenza e radicalizzazione”. Nell’intervista, Valls attacca anche Clémentine Autain, femminista e ideatrice di Ensemble, che con Tariq Ramadan ha organizzato numerosi incontri. Secondo Valls i due formano un “islamo-sinistrismo”.
Alla fine di aprile, il segretario di stato per i Rapporti con il Parlamento, Jean-Marie Le Guen, aveva pubblicato un libro in cui li accusava di “separatismo”. Jean Baubérot, studioso di laicità, ha stabilito un parallelo tra Ramadan e la cultura comunista. Entrambi condividono l’idea di una egemonia culturale. E infatti Ramadan, che il 3 giugno sarà a Milano a ridosso delle elezioni comunali, ha messo in piedi una formidabile macchina di propaganda e seduzione. E’ nella banlieue parigina che si trova il quartier generale di Ramadan, da cui coordina altri quattro uffici (Londra, Doha, Ginevra, Washington). Con due milioni di fan sul proprio account Facebook, autore di trenta libri e di cinquantamila audiocassette che le edizioni Tawhid hanno distribuito ai giovani delle periferie, il volto di Ramadan campeggia in un maxischermo alla cena di gala del Comitato contro l’islamofobia. Dopo un messaggio di solidarietà agli ospiti, Ramadan si offre per mettere all’asta un pranzo con lui. Cattedre in tutto il mondo, da Friburgo alla Malesia, direttore del Centro di ricerca per la legge islamica a Doha (Qatar), presidente della Rete europea musulmana (Emn), membro dell’Unione internazionale degli studiosi musulmani, star di al Jazeera come dell’iraniana Press Tv, Ramadan ha appena pubblicato “Il genio dell’islam” (Presses du Châtelet), che fa il verso al “Genio del cristianesimo” di Chateaubriand.
“Ci sono ormai cloni di Ramadan che imitano il suo look e il suo modo di parlare”, accusa Abdelaziz Chaambi, che presiede la Coalizione contro l’islamofobia, una struttura rivale. Uno dei “ragazzi” di Ramadan, Marwan Muhammad, ha appena assunto l’incarico di consulente sull’islamofobia all’Ocse a Vienna. “Quello di Ramadan è l’unico movimento intellettuale che alimenta una riaffermazione dell’identità islamica”, accusa Didier Leschi, ex prefetto di Saint-Denis. Ramadan è legato a personaggi diversi fra di loro, dal pastore Jean-Claude Lenoir al guru degli indignados, il compianto Stéphane Hessel, fino al filosofo Edgar Morin, con cui ha scritto un libro nei giardini della Mamounia, hotel di lusso a Marrakech. Una macchina di propaganda ben oliata dal Qatar, “il suo sassolino nella scarpa”, come dice Haoues Seniguer, ricercatore presso Sciences Po di Lione. Il Qatar promuove Ramadan per la nomina di docente all’Università di Oxford (Mediapart ne ha anche diffuso lo stipendio mensile: 4.800 euro). In realtà, gran parte del lavoro che oggi svolge è quello presso la facoltà di Scienze islamiche di Doha.
Tariq Ramadan ci trascorre due settimane al mese. “Il Qatar ha comprato Ramadan”, ha detto il politologo Vincent Geisser.
La Francia sta facendo ancora i conti con questo enigma dal successo planetario, che ha imparato a conoscere nel dicembre 1993 a una conferenza a Bourget, quando per la prima volta apparve questo ginevrino ben vestito e dalla barba curata, dall’impeccabile francese e a proprio agio con il Corano e la laicità. Il Monde lo definì “uno choc”, che Ramadan continua ad alimentare dal suo ufficio a Saint-Denis, al fianco delle tombe dei re cristiani di Francia, quel sobborgo che Gilles Kepel ha definito “la Mecca dell’islam francese”.