Donald Trump (foto LaPresse)

La triangolazione tra Donald e Bernie

Un dibattito inutile e godibile per spiegare che Hillary non è invitata allo spettacolo della democrazia

New York. “Grazie Cnn per avermi invitato, e prego Cnn per avermi invitato”, esordisce Donald Trump nell’irrituale dibattito con Bernie Sanders, lo sconfitto democratico che si complimenta con Hillary Clinton: “E’ una intelligente, capace e dignitosa rappresentante dell’establishment corrotto di Washington”. E’ solo satira, certo. Il New York Times non poteva resistere al racconto immaginario e surreale di una circostanza immaginaria e surreale, quella in cui il candidato repubblicano alla presidenza dibatte con il secondo classificato dei democratici. L’idea è nata così, fra uno show di Jimmy Kimmel e un tweet, lanciata da Trump per celia e raccolta subito da Sanders, imbufalito dal rifiuto di Hillary di fare un dibattito in California prima delle primarie del 7 giugno. Lei vuole concentrarsi sulle elezioni generali, dice, ma per lo sfidante che non molla è un inaccettabile gesto di disprezzo, la riduzione ad avversario di serie b, e già nella sfida di New York, quando i due giocavano in casa, sulle prime lei aveva nicchiato alla richiesta di un confronto televisivo. Poi s’era dovuta ricredere, anche perché il senatore del Vermont, allora come oggi, porta folle adoranti che l’inevitabile Hillary può soltanto sognare.

 

Quello, ancora ipotetico, fra Bernie e Trump è un momento morto dal punto di vista politico e informativo ma giustificato da alcune cose che i due hanno in comune: il disprezzo per l’avversario e il bisogno di “high ratings”, di ascolti, di massima visibilità e dunque di massima pressione. Il collante è la convinzione, condivisa, che il sistema sia “rigged”, sia truccato e manipolato a loro sfavore. Così il senatore della “rivoluzione politica” trasformata nel grido di guerra “Bern or Bust” sale sul caravanserraglio da reality show del candidato che vuole fare l’America di nuovo grande, quello che ora fa promesse d’intonazione messianica: “Io vi posso dare tutto”.

 

Negli anni Sessanta Daniel Boorstin ha messo a punto la nozione di “pseudoevento”, circostanza fittizia che esaurisce il suo significato nel fatto stesso di accadere e generare chiacchiera, rumore. Un dibattito fra Trump e Sanders è il padre di tutti gli pseudoeventi, roba da generare, giura l’artista degli affari, un mucchio di chiacchiere e almeno 15 milioni di dollari da devolvere a un’associazione caritatevole, per un significato elettorale pari allo zero. A meno che. E qui, fra il wishful thinking e la teoria del complotto, s’infila la speranza del popolo di Sanders che Hillary sia disarcionata prima di novembre dal più potente dei suoi nemici, se stessa.

 

L’inchiesta del dipartimento di stato sulle email private usate in modo improprio è stata un toccasana per gli avversari, che forse non si aspettavano di leggere critiche tanto esplicite in un’indagine interna, e ora riversano le loro speranze sull’inchiesta dell’Fbi. Si vedrà. Intanto, negoziare un dibattito obliquo fra un candidato e uno sconfitto ha l’effetto immediato di tagliare Hillary fuori dalla scena: non è una cosa da poco per uno pseudoevento. Un portavoce di Sanders ha detto che ci sono state discussioni sull’operazione, ma spera “che Donald Trump non se la faccia sotto, e abbia il coraggio di salire sul palco come dice di voler fare”. Se così non sarà, Bernie dovrà guardarsi dai trucchi da reality di Trump, che ora dice, e non è satira, che “Bernie mi sta suggerendo delle battute fantastiche”. Qualunque cosa pur di trasmettere al popolo americano l’idea che soltanto una persona non è invitata al grande spettacolo della democrazia, Hillary Clinton.