Tra i democratici americani c'è chi vuole abbandonare Israele
In vista della convention di Philadelphia, Sanders mette in serio imbarazzo Hillary sulla questione palestinese. E, dice il Wsj, rinnega mostri sacri come Truman e Kennedy.
Roma. Sul diritto di Israele a esistere e a difendersi dal terrorismo il Partito democratico americano è diviso. Ecco servita una nuova grana per Hillary Clinton che, dopo l'ennesimo capitolo dello scandalo delle mail private usate in modo improprio, in vista del confronto di novembre contro Donald Trump dovrà ora dimostrare ai suoi elettori e a Israele che nulla è cambiato, che il partito è ancora unito attorno a uno dei capisaldi dei democratici, l'amicizia con lo stato ebraico. Neanche a dirlo, la polemica inizia col solito Bernie Sanders che ha ottenuto la possibilità di nominare cinque dei senatori che comporranno la commissione che al congresso democratico di Philadelphia del prossimo luglio dovrà stilare il documento che enuncia gli obiettivi e i valori del partito. Tra i prescelti dal candidato sconfitto alle primarie democratiche ci sono però Cornel West e James Zogby, due che non hanno mai risparmiato critiche nei confronti di Israele. West ha dichiarato che "non si otterrà giustizia per i palestinesi senza la fine dell'occupazione" israeliana. Zogby è presidente dell'Istituto arabo americano, con alle spalle una lunga militanza tra gli attivisti per i diritti dei palestinesi. Oltre a loro c'è anche Keith Ellison, deputato del Minnesota, di religione musulmana e altro sostenitore dei palestinesi.
Cornel West (foto LaPresse)
La commissione di Philadelphia è composta da 15 membri: cinque sono appunto quelli nominati da Sanders; Hillary Clinton ne ha scelti altri sei, mentre gli ultimi quattro sono selezionati dal presidente del partito, Debbie Wasserman Schultz. Insomma, la spaccatura tra i democratici è evidente e il Wall Street Journal, in un editoriale, mette le cose in chiaro: il partito rinnega la sua storica immagine di partito pro Israele per eccellenza del panorama politico americano. Dimenticate Harry Truman, che nel 1948 fu tra i primi a riconoscere l'indipendenza dello Stato di Israele; scordatevi anche John Fitzgerald Kennedy, che vendette a Gerusalemme i missili antiaerei ponendo fine all'embargo che, de facto, era stato imposto fino ad allora; addio anche a Bill Clinton, la cui amicizia con il premier israeliano Yitzhak Rabin era nota. Ora c'è Bernie Sanders, un ebreo che si fa portavoce di una nuova istanza, finora ignota alla tradizione democratica: l'esistenza di Israele, ha scritto un un comunicato, va sostenuta fintantoché lo stato ebraico non eserciti un uso sproporzionato della forza. Sanders ha elaborato il concetto: "Sono sempre stato un sostenitore al 100 per cento del diritto di Israele a esistere in pace e sicurezza. Credo anche che una pace duratura nella regione non sarà realizzabile senza un giusto e rispettoso trattamento del popolo palestinese. Credo che molti democratici siano d'accordo con questa posizione e che un vasto consenso possa essere raggiunto alla convention democratica". Di certo le voci sulla spaccatura interna al partito non fanno bene a Hillary Clinton, che invece, durante la campagna per le primarie, ha sempre pesato con attenzione le parole rivolte a Israele. Il rischio è che in attesa del voto di novembre il partito dia l'impressione che persino la politica estera nei confronti di Gerusalemme possa risentire degli strascichi dell'exploit di Sanders.
Il team di Hillary ha subito tentato di minimizzare l'impatto delle nomine di West e Zogby. Ci ha pensato Jake Sullivan, il consigliere di Clinton per gli Affari esteri, a ribadire che gli altri membri della commissione di Philadelphia riusciranno a compensare i tentativi di Bernie di spostare l'asse filo israeliano del partito. Ma l'impressione è che il danno sia in parte già fatto e se il Wall Street Journal sottolinea come l'agenda di Clinton "non basta a nascondere la decisa svolta anti-Israele del progressismo statunitense", diversi esponenti dell'associazionismo ebraico americano, tra cui anche alcuni sponsor democratici, hanno espresso preoccupazione. Anche perché l'effetto Sanders sembra rispondere a una tendenza precisa dell'elettorato liberal americano. Uno studio del Pew Research Center dello scorso aprile spiega come il panorama dell'elettorato progressista americano è radicalmente cambiato: rispetto a due anni fa, il numero di coloro che si professano sostenitori dei democratici e che si definiscono "simpatizzanti" dei palestinesi sono raddoppiati; il 40 per cento si dice filo palestinese, il picco più alto dal 2001, contro appena il 33 per cento che resta invece su posizioni filo israeliane. Starà a Hillary saper dimostrare che sostenere il diritto di Israele a esistere si sposa, in realtà, con le grandi battaglie etiche liberal. Lo ricorda il Wsj: "L'ultima volta che abbiamo controllato, era assai meglio essere donne, omosessuali, ambientalisti o dissidenti politici a Tel Aviv che a Gaza".
L'editoriale dell'elefantino