Il falco dei falchi iraniani
Milano. Chi pensava che il deal con l’Iran avrebbe agevolato nel paese i “riformisti” contro i falchi sta iniziando a ricredersi, ha scritto l’Economist in un lungo articolo dedicato alla leadership iraniana in cui provava a rispondere alla domanda: chi comanda a Teheran? Nonostante i divieti, le intimidazioni, le liste cancellate, alle elezioni del febbraio scorso i “riformisti” che fanno capo al presidente, Hassan Rohani, avevano ottenuto un risultato importante: in quello che era stato vissuto come un referendum sulla decisione di Rohani di aprirsi al mondo e siglare l’accordo sul contenimento del programma nucleare, l’apertura aveva retto e non c’erano state conseguenze violente.
Il popolo iraniano ha imparato col tempo a non fidarsi troppo delle buone notizie, e già a febbraio lo scetticismo era palpabile, ma il segnale elettorale era stato vissuto all’esterno dell’Iran in maniera oltremodo ottimista e rassicurante, tanto era forte la voglia di fidarsi, soprattutto da parte del mondo del business che scommette sul mercato iraniano senza agitarsi troppo per la proliferazione nucleare. Poi il tempo è passato, l’Iran ha continuato a testare i suoi missili in violazione degli accordi internazionali, ha ampliato il suo ruolo nella guerra in Siria e in Iraq (nonostante siano morti generali iraniani in quantità e in condizioni misteriosissime) e il palazzo si è ripiegato su se stesso. Il nuovo capo del Consiglio degli esperti è l’ultrafalco ayatollah quasi novantenne Ahmad Jannati e lo speaker del Parlamento è il solito conservatore realista Ali Larijani.
Comprendere le dinamiche interne al palazzo iraniano è lavoro complicato e carico di pregiudizi, ma l’ayatollah Jannati semplifica parecchio il lavoro. Il Wall Street Journal ha messo in fila qualche frase celebre del nuovo leader del Consiglio degli Esperti, che deciderà il successore della Guida suprema Ali Khamenei: Jannati dice che gli americani sono “i più grandi sponsor del terrorismo internazionale”, che gli ebrei “hanno sembianze umane ma in realtà hanno i modi dei maiali e dei predatori”, che “la caduta di Israele è vicina”. Sugli oppositori del regime, Jannati ha detto che “non c’è spazio alcuno per la misericordia”, e infatti era a capo di quel Consiglio dei guardiani che legittimò i brogli delle elezioni del 2009 e la repressione di piazza. Il “falco dei falchi”, come lo chiamano in molti, ha ottenuto il 57 per cento dei consensi degli Esperti – tra i quali ci sono anche il presidente Rohani e l’ex presidente Hassan Rafsanjani, che oggi viene annoverato tra i cosiddetti riformisti, relativamente parlando s’intende – ma la sorpresa è stata tutta e soltanto internazionale. Jannati stava quasi per non entrare nemmeno nel Consiglio alle elezioni di febbraio, si dice che ci siano stati brogli dell’ultimo momento per integrarlo in un’istituzione che lui voleva assolutamente guidare, ma è difficile trovare qualcuno che sappia davvero opporsi al “falco dei falchi” (chissà se qualcuno lo vuole, poi).
In Parlamento, i “riformisti” speravano di ottenere qualcosa di più, ma lunedì, tra defezioni e poco consenso, è stato riconfermato come speaker Larijani, che ricopre questo ruolo da parecchi anni: Larijani è un confidente della Guida suprema, un conservatore realista che prova a far dialogare le due anime del potere iraniano, contando sul fatto che queste due anime condividono un progetto rivoluzionario comune e non intaccano certo le linee guida del regime. Larijani non è un radicale estremo, ma entusiasmarsi per la sua conferma non è possibile, se non rifugiandosi nel pessimismo più autentico del poteva-pure-andare-peggio.
Il popolo iraniano che avrebbe dovuto essere il principale beneficiario della fine dell’isolamento della Repubblica islamica – è questo l’unico elemento decisivo di un accordo altrimenti volatile e pericoloso – oggi non ha nulla da celebrare, anzi. La ripartenza economica ancora non c’è stata, molti businessman evitano di lasciare i loro biglietti da visita a Teheran per paura di ritorsioni, qualche giorno fa, ha raccontato il New York Times, un gruppo di ragazzi è stato frustato (99 frustate a persona), in una città a nord di Teheran, per aver partecipato a una festa di laurea in cui femmine e maschi hanno osato stare nella stessa stanza, e le femmine erano “mezze nude”, cioè non portavano il velo. I processi democratici sono lenti, si dirà, ma le premesse sembrano segnalare più che altro l’assenza di una volontà riformatrice, ed è su questa ipocrisia che i falchi operano quasi indisturbati nel mantenimento del regime. Così se il deal sul nucleare non porta alcun beneficio al popolo iraniano, anche sul piano internazionale il coinvolgimento dell’Iran sembra non dare risultati positivi. All’interno del negoziato di pace sulla Siria a Ginevra, che è collassato due giorni fa un’altra volta con l’abbandono del capo dell’opposizione al regime siriano, Damasco aveva acconsentito a lanciare aiuti umanitari con gli elicotteri del suo alleato iraniano nelle zone del nord sotto assedio: gli aiuti avrebbero dovuto arrivare entro lunedì, ma non è andata così. I report di intelligence rivelano che le brigate iraniane sono sempre più presenti sul territorio siriano, in quella che pare un’Opa espansionistica ormai inarrestabile, e il capo delle forze al Quds Qassem Suleimani si è fatto fotografare nella war room iraniana da cui è stato sferrato l’attacco contro lo Stato islamico a Falluja. I sauditi sono arrabbiati, gli americani sono preoccupati, gli effetti del coinvolgimento iraniano sembrano il contrario di una stabilizzazione.