Chi rilancerà il dialogo israelo-palestinese, Parigi o il Cairo?
Milano. Cinque ore di dibattito, 26 ministri degli Esteri, nessun rappresentante di Israele e dell’Autorità palestinese, la solennità che soltanto i palazzi del potere francese sanno trasmettere, un comunicato finale che esprime preoccupazione sul deteriorarsi dei rapporti diplomatici nella regione, chiede “un impegno genuino a ricostruire la fiducia” e ripropone la soluzione “due popoli due stati”. Questa è la sintesi del vertice tenutosi ieri a Parigi per rilanciare il dialogo israelo-palestinese interrotto dal 2014. Il ministro degli Esteri francese, Jean-Marc Ayrault, parlando con il Monde ha posizionato la conferenza di Parigi come l’appuntamento più importante dal vertice di Annapolis, che fu organizzato dall’allora presidente americano George W. Bush: nove anni fa. La Francia ha l’ambizione di riempire il vuoto americano nel mondo, ce l’ha sempre avuta e ancor più la sente urgente adesso che, sul fronte interno, vive una crisi politica di attesa sterile all’appuntamento delle presidenziali del prossimo anno: anche per questo è molto attiva nella gestione delle crisi internazionali, dalla lotta allo Stato islamico alla stabilizzazione della Libia al rilancio del dialogo israelo-palestinese di cui nessuno si occupava più da un bel pezzo, fa affari e accordi con l’Egitto, che è considerato ancora nella regione un mediatore affidabile anche da Israele, e investe su una relazione imprenditorial-militare con l’Iran, dopo essersi a lungo opposta a un accordo nucleare con Teheran dai compromessi elevati.
Sulla questione israelo-palestinese, la Francia parte dalla cosiddetta “iniziativa araba”, che risale al 2002, su cui però Israele è freddo prediligendo invece un’iniziativa guidata dal presidente egiziano, Abdel Fatah al Sisi, che faccia ripartire il negoziato diretto tra israeliani e palestinesi – principio ispiratore della gestione della questione fin dagli Accordi di Oslo. Stando a un retroscena pubblicato su Haaretz, il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha chiamato giovedì sera il segretario di stato americano, John Kerry, chiedendogli di fare tutto il possibile per evitare un comunicato finale troppo duro nei confronti di Israele. Ma la telefonata non è servita a molto, e ieri Gerusalemme ha rifiutato l’esito del vertice. Il Washington Post, ironizzando sul fatto che tutt’a un tratto stanno riemergendo iniziative sulla questione israelo-palestinese, ha riportato le parole di Netanyahu, che teme “un uragano diplomatico” per la seconda metà dell’anno. Quando il premier francese, Manuel Valls, è andato in Israele un paio di settimane fa, si è sentito dire in conferenza stampa dal suo collega israeliano che “la pace non si raggiunge semplicemente attraverso conferenze internazionali in stile Onu”. Per questo il governo di Gerusalemme preferisce coinvolgere il presidente egiziano al Sisi, visto che la collaborazione in termini di sicurezza non è mai stata tanto alta tra Egitto e Israele. I palestinesi sono d’accordo a seguire un’eventuale iniziativa egiziana, anche se, come scrive il Wall Street Journal, sui termini concreti le visioni divergono. Israele chiede a Sisi di fare pressioni sui paesi della regione per normalizzare le relazioni economiche e diplomatiche con Gerusalemme, mentre i palestinesi dicono che il ruolo di Sisi è quello di riaprire il negoziato diretto ma quanto all’accordo quadro “l’iniziativa francese è l’unica in città ora”, ha detto un negoziatore palestinese.
Mentre i diplomatici americani lamentano l’assenza di Washington – lo stesso Kerry ha detto a Parigi: “Non sono qui per guidare il vertice” – la Francia tenta di imporre la propria leadership, con una minaccia velata: se non si riesce a fissare una data per i colloqui diretti israelo-palestinesi, allora Parigi dovrà perseguire la via unilaterale palestinese all’Onu. Sarebbe il primo grande paese europeo a farlo.