Due informazioni in più sulla catena di morti ai vertici dello Stato islamico
Roma. Domenica l’Associated Press ha pubblicato una storia a proposito dello Stato islamico e della sua caccia disperata agli informatori interni che passano informazioni agli americani – che le usano per localizzare e bombardare i leader del gruppo estremista. Ap cita due episodi in particolare, l’uccisione il 30 marzo di un comandante tunisino, Abu Hayjà al Tunisi, e la presunta uccisione di Omar il ceceno il 3 marzo. Il risultato è un clima di paranoia infernale, che porta la leadership del gruppo a far arrestare e poi a condannare a morte decine di combattenti, e a volte anche comandanti, perché sospettati di essere responsabili delle fughe di notizie. Il Foglio tiene la contabilità dei capi dello Stato islamico colpiti nei raid aerei della Coalizione e qualche appunto sulle circostanze, ed è quindi in grado di elaborare su questo tema – che è importante per capire come sta andando la guerra.
Quello che colpisce nel caso del capo tunisino ucciso alla fine di marzo è che il leader dello Stato islamico, Abu Bakr al Baghdadi, gli aveva appena ordinato di andare a ovest di Aleppo a combattere contro le Forze democratiche siriane (d’ora in poi Fds), quel misto di curdi e ribelli anti Assad che così tanti danni sta infliggendo al gruppo estremista. Il tunisino era partito per Aleppo, ma un drone ha centrato subito la sua macchina, poco a nord di Raqqa. Il suo caso è quasi identico a quello di Omar il ceceno. Baghdadi aveva chiesto anche a Omar il ceceno di andare a guidare la resistenza alle Fds, in un’altra zona, a Hasaka. Un aereo ha localizzato il comandante caucasico famoso per la barba rossa e ha bombardato la sua posizione venerdì 4 marzo, dopo l’arrivo – anche lui da Raqqa (lo Stato islamico sostiene che il ceceno non è morto, a dispetto di quello che dice il Pentagono). E’ chiaro che il fatto che due comandanti entrambi convocati da Baghdadi per andare a combattere le Forze democratiche siriane – che sono sostenute con forza dall’America – siano stati entrambi colpiti dopo avere lasciato Raqqa deve avere scosso i nervi della leadership dello Stato islamico. Tanto più che il tunisino stava andando verso la regione di Aleppo a rimpiazzare un altro comandante ucciso dagli americani, Amr al Absi – che è l’uomo che fin dal 2012 ha reclutato gli europei che poi sono andati a compiere le stragi di Parigi e di Bruxelles, ma questa è un’altra storia. E’ di evidenza palmare, direbbero i giuristi, che lo Stato islamico ha un problema di tenuta delle informazioni: o qualcuno sta passando soffiate oppure gli americani hanno intercettazioni di qualità migliore che in passato. Come se non bastasse, tra l’uccisione di Amr al Absi il 3 marzo, il bombardamento contro Omar il ceceno il 4 marzo e la morte in macchina del tunisino il 30 marzo, le Forze speciali americane hanno tentato di rapire in Siria il capo più importante dopo Baghdadi, Abu Ali al Anbari, ma non ci sono riusciti e lo hanno ucciso, il 25 marzo.
In questo contesto, spiega Ap, il servizio di sicurezza interna del gruppo sta arrestando i combattenti a decine, qui e là. A volte li ferma ai posti di blocco e controlla i telefonini e se scorrendo il registro delle chiamate vede qualche numero inusuale chiede spiegazioni e costringe a chiamate di verifica sul posto. Altre volte sperimenta la fedeltà dei comandanti e prova a passare informazioni trappola, per esempio a dare coordinate false di Baghdadi, per vedere se gli americani bombardano i luoghi indicati – se così è, allora vuol dire che il comandante ha tradito. In realtà, le notizie che arrivano dalla Siria e che parlano di retate dello Stato islamico motivate dalla caccia agli informatori hanno poco senso. In un caso, sono stati arrestati e giustiziati ventuno combattenti a Raqqa, incluso un leader importante di una non meglio specificata nazionalità nordafricana. Spiavano in massa per conto degli Stati Uniti? Erano tutti colpevoli di passare notizie? Poco plausibile. Piuttosto, il gruppo perde territorio ed è costretto ad arretrare e a fare i conti con una crisi finanziaria, ed è possibile che abbia deciso di soffocare con brutalità il dissenso interno e di prevenire ribellioni. I rumors – che però questo sono: rumors – parlano di fazioni ribelli. Se pure ci sono, Baghdadi le sta liquidando.