“E se la finissimo di sparare cazzate?”
"E se la finissimo di sparare cazzate?”. Non è una mia frase, questa, è il titolo di un libro di Daniel Cohn-Bendit, scritto con Hervé Algalarrondo, e pubblicato un paio di mesi fa a Parigi. La tesi del libro è scandalosa per la Francia, patria della V Repubblica gaulliana, sempre portata a esempio per il semipresidenzialismo monarchico e le elezioni maggioritarie a doppio turno: la Francia è annoiata e malata, il suo sistema politico muscolare non funziona, maggioranze legali e reali non coincidono più (François Hollande è al 14 per cento dell’approvazione), facciamo la proporzionale che restaura il peso e il senso dei partiti e prepariamo il terreno a una grande coalizione come in Germania e altrove. La premessa del sillogismo provocatorio di Cohn-Bendit, ormai un vecchio leader europeista con i galloni del combattente della guerra del 1968, da sempre molto diverso da un Paolo Cirino Pomicino e difficilmente assimilabile alla logica del patto del Nazareno, è che la battaglia destra contro sinistra è tumefatta dalla storia, genera solo equivoci rafforzati dalla presenza del Front national di Marine Le Pen, e deve essere sostituita da un lavoro artigiano di ricostruzione significativa di maggioranze effettive che siano in grado di governare la società. Potrebbe essere un’uscita a capocchia, molto poco realista, se non ci fosse di mezzo il fenomeno Alain Juppé.
Ma che c’entra? C’entra. Juppé è un gaullista vecchio stile, ma di estrazione e tono chiracchiani e moderato, modernizzato con rassegnazione e stile, centrista per pratica e cultura, senza carisma, settantenne. Lo chiamano Nestor dal nome di un personaggio del creatore di Tintin, Hergé, un maggiordomo pelato e un po’ goffo che fa figura ridicola nel castello di Moulinsart.
Juppé ha avuto comminata una condanna penale per voto di scambio, definitiva, e ha espiato la pena che quasi tutti credono sia dovuta alla difesa generosa del suo boss di allora, Jacques Chirac, ma è comunque quello che Marco Travaglio chiamerebbe spregiudicatamente e letteralmente un “pregiudicato”. Ha un passato politico puntellato di successi ma non ricco di brio, e denso di sconfitte. Quando era primo ministro a metà degli anni Novanta, sfidato dai sindacati che paralizzarono la Francia come stanno cercando di fare adesso, disse di sé: “Je suis droit dans mes bottes” (“Sto qui a piè fermo con gli stivali calzati”); con il risultato che Chirac sciolse l’Assemblée Nationale, rimediò una clamorosa batosta alle elezioni, e il socialista Lionel Jospin andò a presiedere un governo di coabitazione, mandando a casa Juppé. Ripresentatosi alle elezioni per un seggio parlamentare, fu trombato. Da anni è ristretto, diciamo così, nella città di Bordeaux, buon vino e buone maniere provinciali, di cui è sindaco. Ora un tipo così, con queste premesse periclitanti, è impegnato nelle primarie della destra dei Les Républicains (LR), il nuovo nome del partito gaulliano, di cui è a capo Nicolas Sarkozy. La cosa strana è che è largamente in testa all’indice di gradimento, sembra potercela fare contro l’ex presidente e capo del partito, focoso dinamizzatore (presunto) della politica esagonale, che vuole giocarsela anche lui, insieme ad altri due candidati. Quel che più importa, tutti sono convinti che, se ce la facesse nelle primarie, poi vincere contro Hollande e la Le Pen sarebbe una passeggiata. E solo per lui l’Eliseo sarebbe scontato. Juppé candidato, storia finita.
Alain Juppé e l'ex presidente Nicolas Sarkozy nel 2015 durante un convegno del partito "Les Républicains" (foto LaPresse)
Questo bordelais d’adozione, quest’uomo tranquillo e privo di ghiribizzi, questo occhieggiatore a sinistra e al centro, ma senza il glamour un po’ farlocco dell’ouverture sarkoziana, questo candidato che non esibisce valori, non scalda cuori, non promette sfasci né cieli stellati, non è un copain o un assistente sociale che debba confortare i cittadini (lo scrive Jérôme Leroy su Causeur, parlando di un’attitudine sana), questo Nestor, quest’ometto in grigio che è al quarto o quinto libro per finire i compiti del programma politico e amministrativo presidenziale, ecco, questo Juppé faticone che a governare con i riformisti del Partito socialista, i Manuel Valls e gli Emmanuel Macron, ci metterebbe la firma, è precisamente l’incarnazione di quell’idea di République sostenuta da Cohn-Bendit: e se la finissimo di sparare cazzate?
Non è un esperimento alla Mario Monti, depoliticizzare dall’alto la democrazia con la tecnocrazia e le sue virtù in una fase di emergenza, è un passaggio tutto politico, che arriva da e si muove attraverso la storia dei partiti, e che si basa sul duro e mediocre ma indispensabile lavoro di équipe nate nella storia della Repubblica gaulliana e votate a un trasversalismo e a un orizzonte di compromesso che sembra contraddirla nelle radici. Può essere che Juppé alla fine venga travolto dalle folli passioni ideologiche, dinamizzatrici, movimentiste, carismatiche, bonapartiste, di Sarkozy, che è giù nei sondaggi ma molto su di tono, come sempre. Può essere che il celebre “juif allemand”, il Cohn-Bendit agitatore ecologista europeista binazionale ideologo e artista della turbolenza politica, sia obbligato a vivere in un mondo in cui le “cazzate” risultano ancora nutrienti ed efficaci ai fini della vittoria politica. Tutto può essere, ma in tempi in cui in Italia si discute del “pallore del potere”, della fine degli effetti di trascinamento della leadership ad appena due anni e mezzo dall’esperimento Renzi, e in tempi in cui in Spagna e in Gran Bretagna i sistemi politici si spaccano, i partiti si scompongono senza ricomporsi, e l’unica stella fissa nel cielo dell’Europa è la Mutti tedesca con la sua Grosse Koalition, ecco, in tempi cosiffatti, una lettura del pamphlet di Dany le Rouge e uno sguardo a Juppé il grigio forse sono consigliabili.