(foto LaPresse)

Perché gli immigrati non risolveranno il declino demografico

Daniel Mosseri

La Merkel apre ai rifugiati per rilanciare natalità e previdenza, ma è fatica sprecata. Lo spiegano due economisti tedeschi: “La popolazione invecchia e i politici tedeschi non vogliono aumentare il prelievo contributivo sui salari: l’unica soluzione è lavorare più a lungo”. 

Berlino. In Germania dividono i partiti e l’opinione pubblica. Spesso invece per gli economisti e i demografi i rifugiati sono un toccasana. Eppure ora in Germania c’è chi contesta questa tesi: non saranno loro a offrire la soluzione per l’invecchiamento e il calo demografico, ai quali Angela Merkel ha cercato di porre rimedio aprendo le porte ai siriani. Due studi dell’Istituto di Colonia per la ricerca economica (Iw) spiegano, infatti, che ai fini strettamente demografici e previdenziali la Cancelliera si sarebbe anche potuta risparmiare la fatica. Già ad aprile del 2015, elaborando dati raccolti due anni prima, l’Istituto federale di statistica spiegava che “a lungo termine l’elevata immigrazione in corso ha solo effetti limitati sull’andamento della popolazione”. Philipp Deschermeir dell’Iw ha ritoccato le proiezioni ufficiali alla luce dei numeri sugli arrivi forniti dall’Agenzia federale per i profughi e gli immigrati (Bamf). “Noi calcoliamo che nel 2021 la popolazione in Germania salirà a 84 milioni contro gli 82 stimati” dall’Istat tedesca, dice al Foglio. Va un po’ meglio anche nel medio periodo, con 83 milioni di persone nel 2035, contro gli 80 calcolati sempre dallo Statistisches Bundesamt. Il problema qua non è il numero, ma l’età dei residenti. All’epoca della riunificazione tedesca, l’età mediana dei tedeschi era 37 anni; oggi è 45 e nel 2035 salirà a 48 anni.

 

La bomba si chiama “baby boomer”: entro il 2036 andranno tutti in pensione “e nessuna forte immigrazione potrà risolvere il problema: quelli che escono dal mercato del lavoro sono molti di più di quelli che vi accedono”. Né la Germania può sperare che gli immigrati diano vita a un nuovo boom demografico. Deschermeier lo esclude per almeno tre motivi: “La maggior parte dei nuovi arrivati sono uomini; la decisione politica di favorire i ricongiungimenti non è stata ancora presa; e, qualora fosse adottata, ci sono almeno due studi che dimostrano come anche le famiglie di immigrati adottino in fretta i costumi della popolazione che li ospita”. Denatalità inclusa. Nonostante un mercato del lavoro e servizi di assistenza alla famiglia fra i più solidi in Europa, oggi le donne tedesche fanno solo 1,4 figli a testa, “e noi stimiamo che si possa arrivare nei prossimi anni a 1,45”. In questo scenario la sostenibilità del sistema pensionistico appare minacciata. “La popolazione invecchia e i politici tedeschi non vogliono aumentare il prelievo contributivo sui salari: l’unica soluzione è lavorare più a lungo”, dice Susanna Kochskämper, che per l’Iw ha proiettato nel futuro i conti dell’Inps tedesca. “Per finanziare le nostre pensioni così come lo facciamo oggi, in teoria dovremmo lavorare fino a 73 anni”.

 

Dieci anni fa, ricorda, è stata varata la Riester Rente, “un sistema privato di pensioni integrative sponsorizzato dallo stato”, ma i risultati non sono stati quelli sperati. Al contrario, la Germania ha fatto anche “passi indietro”, come la riforma voluta nel 2015 dal ministro socialdemocratico del Lavoro, Andrea Nahles, che ha concesso la pensione ai sessantratreenni con 45 anni di contributi. “L’età dell’uscita dal lavoro va legata all’aspettativa di vita. In Italia lo avete fatto e mi sembra la soluzione ideale anche per il sistema tedesco”. Musica per le orecchie del ministro delle Finanze, Wolfgang Schäuble, che pochi giorni fa ricordava la necessità “di prepararsi allo sviluppo demografico” della Germania.

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