Hollande, riunione straordinaria sul conflitto iracheno (foto LaPresse)

L'asse franco-americano si ricompatta su Raqqa. La domanda sul dopo

Paola Peduzzi
E’ la prima volta che il ministero della Difesa francese conferma la presenza delle sue forze speciali in territorio siriano. La missione “alternativa” dei russi.

Milano. Le forze speciali francesi sono arrivate nel nord della Siria per collaborare con gli Stati Uniti, i curdi (Ypg) e le Forze democratiche siriane (Sdf) alla riconquista di Raqqa. L’obiettivo militare principale è la cittadina di Manbij, nei tempi antichi famosa per il culto della “dea della Siria” Atargatis e oggi ultima via di comunicazione aperta dello Stato islamico con il resto del mondo.

 

E’ la prima volta che il ministero della Difesa francese conferma la presenza delle sue forze speciali in territorio siriano (non ha precisato il numero degli uomini impiegati): fino a ora era noto il dispiegamento francese soltanto nel Kurdistan iracheno (circa 150 uomini). “L’offensiva di Manbij è sostenuta da molti paesi, tra cui la Francia”, hanno detto alla France Presse fonti dell’entourage del ministro della Difesa, Jean-Yves Le Drian, che già venerdì, in un’intervista televisiva, aveva spiegato che il sostegno francese consiste in “armi, presenza aerea e consulenza strategica”. Washington, che ha già testimoniato il suo coinvolgimento nell’operazione di Raqqa con le immagini sul fronte pubblicate nelle settimane scorse, vuole riprendere Manbij per impedire allo Stato islamico di avere accesso a quel confine che serve per approvvigionamenti di armi e uomini e anche per far uscire jihadisti diretti in Europa. Secondo il Syrian Observatory for Human Rights, le forze dell’Sdf hanno ripreso il controllo dell’autostrada che porta a Manbij: stando alle stime di Washington avrebbero perso già alcune decine di uomini (almeno 100 i feriti) nell’operazione.

 

Il coinvolgimento della Francia segna un’importante evoluzione della missione internazionale contro lo Stato islamico, a lungo caratterizzata da cautele e incertezze. Le relazioni tra Parigi e Washington sulla questione siriana avevano subìto un enorme raffreddamento all’inizio della crisi siriana, quando Barack Obama annunciò, nel 2013, un intervento contro il regime di Bashar el Assad, che aveva violato “la linea rossa” utilizzando armi chimiche contro il suo popolo, che poi non fece. Nelle 36 ore in cui il blitz pareva imminente, il presidente francese, François Hollande, aveva già fatto scaldare i motori dei suoi aerei da guerra, ma ricevette una telefonata notturna da Obama in cui gli annunciò: ferma tutto, voglio chiedere il voto al Congresso, l’operazione è rimandata. Hollande, che si era speso molto diplomaticamente per riconoscere le forze d’opposizione al regime di Assad e aveva più volte chiesto la dipartita del dittatore, rimase di sasso, e soltanto dopo gli attentati a Parigi dello scorso novembre ha deciso di rimettere a disposizione le sue forze (aeree) in Siria. Ora americani e francesi si riuniscono per la missione più importante (e attesa da tempo): espugnare Raqqa, assieme alle Sdf sostenute e armate dai paesi occidentali, con il sostegno sempre presente dei curdi siriani. Se sul futuro dell’offensiva – a chi va Raqqa una volta che è liberata? – ci sono molte perplessità e al momento non è noto se sia pronto un piano, la coalizione internazionale a guida americana non è mai apparsa tanto determinata ad attaccare frontalmente lo Stato islamico. Confermata la presenza dei francesi, il messaggio è chiaro anche per il regime di Damasco: il rais Assad ha annunciato che riprenderà “ogni centimetro” di Siria, ma è probabile che non sia questo il programma dell’alleanza occidentale, considerato che anche il premier israeliano Benjamin Netanyahu, in visita a Mosca negli scorsi giorni per tenere aperto il canale di collaborazione con la Russia, ha ribadito: “Non vedo Assad nel futuro della Siria”.

 

Poiché i tempi sono importanti in una guerra che ha deciso di rinunciare all’urgenza, dopo mesi di intervento militare russo (dal settembre del 2015) e un annuncio di ritiro delle truppe da parte di Vladimir Putin, dopo la presa di Palmira, anche le forze di Damasco con la copertura di Mosca hanno deciso – proprio ora – di dirigersi verso Raqqa. La via d’accesso è diversa da quella americana, le notizie sono un po’ confuse, e fino a questo momento Washington ha negato ogni coordinamento con le forze russe. Gli osservatori spiegano che le due offensive alternative sono volte, appunto, al dopo: chi avrà la sovranità su Raqqa? La buona notizia è che lo Stato islamico potrebbe davvero subire una sconfitta importante, quella meno buona è che c’è voluta una competizione internazionale di potere, una gara, per andare finalmente a liberare Raqqa.

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi