Minimizzare i morti d'Israele
Roma. Mentre i leader di tutto il mondo condannavano l’uccisione di quattro israeliani al ristorante Max Brenner di Tel Aviv (Max Brenner è uno dei marchi israeliani di cioccolata presi di mira dal boicottaggio), i media italiani e stranieri sbagliavano ancora una volta i titoli. Fra le vittime della strage, oltre a un ex commando delle forze di sicurezza israeliane e a due donne, anche un professore della Ben Gurion University, il sociologo e antropologo Michael Feige. Il ministero della Difesa, ora sotto la guida di Avigdor Lieberman, ieri ha promesso che “la vita a Yatta non sarà più uguale” (è il nome del villaggio palestinese da cui provengono i due terroristi). “Catturati gli aggressori”, ha titolato il sito di Repubblica, senza mai usare la parola “terroristi”. Il Corriere della Sera li chiamava invece “killer”. Dal Monde a Libération passando per il Nouvel Obs, tutta la stampa francese ha usato la parola “fusillade”: sparatoria. La Cnn ha riportato dell’attentato mettendo fra virgolette la parola “terroristi”. La Bbc ha usato l’espressione “Tel Aviv shooting”, sparatoria, mentre le forze di sicurezza israeliane avevano già fermato i terroristi e non c’erano dubbi sulla matrice dell’attentato. Anche Sky News ha usato“Mass Shooting in Tel Aviv”, mentre il Guardian ha scritto: “Three Dead in Tel Aviv Market Shooting”. L’Independent ha fatto di peggio: “Tel Aviv shooting, three killed and six wounded in Israeli capital attack”. Non solo non c’è la parola “terrorismo”, ma Tel Aviv diventa “capitale” anziché Gerusalemme (l’Independent ha modificato il titolo dopo le proteste di Honest Reporting). Neppure il New York Times è riuscito a dire la verità e ha riferito dei terroristi come “Palestinian gunmen”. La migliore è stata la disinibita Fox News, che ha titolato: “Terror in Israel”. Era così difficile? Gli stessi media che hanno “sbagliato” i titoli, non hanno saputo o voluto mostrare le immagini dei palestinesi in festa a Gaza, a Hebron, a Tulkarem e alla Porta di Damasco a Gerusalemme, che hanno distribuito dolci ai passanti per celebrare l’attentato al ristorante di Tel Aviv.
I giornali e le televisioni di tutto il mondo non sembrano aver imparato niente da quando è scoppiata “l’Intifada dei coltelli”. Per dirla con Simon Plosker, direttore di Honest Reporting, “nessun giornale in Europa ha riconosciuto chi sta attaccando chi”. Vittima israeliana e terrorista palestinese sono sempre finiti sullo stesso piano. L’Independent anche allora era riuscito a strangolare la verità con uno sproposito di parole: “Ragazzo di sedici anni diventa la settima vittima palestinese delle forze di sicurezza dopo un accoltellamento a Gerusalemme”. Neppure il Telegraph, giornale conservatore inglese, ieri riusciva a scandire “terrorista”, così come a ottobre scrisse: “Forze di sicurezza israeliane uccidono altri quattro palestinesi”. “Palestinese ucciso dopo inseguimento della polizia a Gerusalemme”, era stato il capolavoro a ottobre di Msnbc. Ieri la rete americana ha riferito di un “mass shooting”, neanche fosse successo nella scuola Columbine. Su Sky News, neppure la parola “palestinese” è emersa: “Polizia israeliana: gli attacchi di Gerusalemme fanno tre morti”.
Il canale televisivo saudita al Arabiya è stato più onesto dei media occidentali, definendo “vittime” i morti israeliani. E Dahham al Enazi, membro dell’Associazione dei giornalisti sauditi, ha condannato così la strage: “L’uccisione di civili innocenti, come accaduto durante l’attacco di Tel Aviv, è terrorismo”. Terrorismo, non sparatoria. Altrettanto più onesta, nella sua sinistra franchezza, la giornalista di al Jazeera, Salma al Jamal, che ieri ha detto: “L’Operazione Ramadan è la migliore risposta alle storie sul ‘processo di pace’”. Anche molti comitati di redazione dalle nostre parti la sottoscriverebbero.