“Addio al neoliberismo”. Non è Caracas, è Varsavia
“Addio al neoliberismo”. Non è l’annuncio di un qualche caudillo latinoamericano che ha appena rovesciato un governo democratico, o il nuovo slogan programmatico degli spagnoli antisistema di Podemos. Con questo titolo, in un’intervista seminale al giornale Rzeczpospolita, il vicepremier e ministro dello Sviluppo economico della Polonia, Mateusz Morawiecki, ha annunciato una nuova èra dell’economia del suo paese. Addio al neoliberismo, dunque, per quella stessa politica economica che, grazie proprio ad abbondanti iniezioni di libero mercato, è cresciuta a ritmi impensabili ai tempi della crisi globale, fino a fare di Varsavia la sesta potenza economica del continente.
Morawiecki fa parte del governo di Beata Szydlo, premier e vicepresidente del Partito diritto e giustizia, formazione populista e nazionalista che ha nell’ex premier Jaroslaw Kaczynski il suo padre padrone. Da quando Diritto e giustizia è salito al potere alle elezioni dello scorso novembre, battendo la cristianodemocratica Ewa Kopacz, la Polonia è diventata un’osservato speciale all’interno dell’Ue. Lo scontro tra il nuovo governo e la Corte suprema del paese (l'esecutivo non riconosce i giudici nominati dal suo predecessore) e le interferenze sulla libertà di stampa denunciate da alcuni media locali hanno spinto la Commissione europea a iniziare una procedura d’indagine inedita per violazione dello stato di diritto. Ma oltre che per minacce democratiche, e forse ancora di più, ora gli osservatori europei avranno una nuova ragione per cui preoccuparsi: la Kaczynskinomics.
Nell’intervista a Rzeczpospolita, ripresa con toni preoccupati dal Financial Times (“Il partito populista della Polonia promette di porre fine al modello liberale di mercato”, titolava ieri il giornale della City nella sua edizione cartacea) il vicepremier Morawiecki definisce chiusa l’èra del neoliberismo, ormai “anacronistico”, cita una contestatissima ricerca del Fmi contraria, appunto, all’“agenda neoliberista” e promette un nuovo corso economico fondato sul nazionalismo e sul paternalismo.
“L’economia dovrebbe servire soprattutto i cittadini polacchi, gli impiegati, gli imprenditori e le famiglie, non statistiche, numeri e percentuali”, dice Morawiecki, che prima di entrare in politica era stato un banchiere per Santander. Tra le promesse del nuovo governo c’è l’abbassamento dell’età pensionabile, contrariamente al trend di tutti i paesi sviluppati, e l’alleggerimento delle aliquote della tassa sul reddito. Questi provvedimenti, scrive il Financial Times, potrebbero portare Varsavia a sforare il tetto del 3 per cento del rapporto deficit/pil. Il governo intende inoltre rinazionalizzare alcuni settori dell’economia, sul modello dell’ungherese Orbán, e ha già approntato, in chiave nazionalista, alcune tasse e balzelli che prendono di mira esplicitamente i settori in cui i capitali stranieri sono più forti, come quello bancario o della grande distribuzione. Il tutto per porre fine a un modello, quello del libero mercato, che secondo Morawiecki è ormai bacato. Poco importa se questo stesso modello ha portato la Polonia a essere il paese europeo che è cresciuto di più negli ultimi dieci anni.
Ma non c’è il rischio che una serie di misure del genere possa portare a una fuga di capitali esteri? Nessun problema, anzi: quasi è un obiettivo. Uno dei problemi del paese, ha detto il vicepremier, è infatti l’eccessiva dipendenza dell’economia dalle finanze non polacche.
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