Le forze governative entrano a Sirte (foto LaPresse)

Offensiva smisurata

A Sirte crollano i simboli del breve regno dello Stato islamico in Libia

Daniele Raineri
Manovra da sud per espugnare la capitale degli estremisti. E il generale Haftar adesso deve pensare alla riconciliazione

Roma. Cadono i luoghi simbolici dello Stato islamico nella metà ovest di Sirte. La spiaggia davanti all’hotel Maheri dove nel gennaio 2015 il gruppo estremista ha ucciso 21 ostaggi copti egiziani davanti a una telecamera e da dove un leader ha minacciato Roma. Il tunnel di scolo sotto il manto stradale dove nell’ottobre 2011 Gheddafi è stato stanato dai ribelli libici mentre cercava di fuggire – gli stessi ribelli di Misurata che oggi sono diventati “esercito del governo di Tripoli” e dicono che gli estremisti non sono altro che una reincarnazione dei gheddafiani. La rotonda dello Zafferano, uno dei due luoghi in città deputati alle esecuzioni – c’è un telaio di metallo che doveva reggere i tabelloni pubblicitari ed era usato invece per esporre i cadaveri. Tutti questi luoghi sono stati superati dall’avanzata delle forze di Misurata – guai a chiamarle milizie, avvertono – che nel giro di 35 giorni hanno prima perso terreno in casa propria, poi lo hanno riconquistato e infine hanno marciato su Sirte. Dal punto di vista militare, la loro prossima mossa è una manovra che costeggia il lato sud della città, fino ad arrivare ai quattro centri dello Stato islamico  in città, l’ospedale Ibn Sina, il centro congressi Ouagadougou, che i jihadisti hanno ribattezzato “Falluja” e, più a nord verso la costa, le moschee Rabat e Cordoba – quest’ultima rinominata “Abu Mussab al Zarqawi”, come il terrorista giordano ucciso in Iraq dagli americani nel 2006. E’ questa la parte più densa della città. Le forze dello Stato islamico, tuttavia, sembrano avere scelto l’opzione “sopravvivere oggi per combattere domani” e hanno compiuto una dispersione tattica, lasciando in gran parte la città dopo un anno di dominio assoluto – almeno a giudicare dalla velocità con cui Sirte cade in mano ai misuratini. Il gruppo estremista non offre che una frazione della resistenza di cui è stato capace altrove, per esempio a Ramadi o a Falluja. Forse si ricostituirà nel profondo sud del Fezzan, per cominciare una guerriglia nomade come nel Sinai egiziano. Il capo dello Stato islamico in Libia, il saudita Abdel Qader al Najdi, tace da marzo.

 

Se e quando Sirte cadrà – è questione di poco – ci saranno conseguenze politiche. Le forze di Misurata che si sono accollate il lavoro sporco saranno così fedeli al governo di accordo nazionale di Fayez al Serraj come spera la comunità internazionale e come spera il governo italiano, che tanto ha puntato su Serraj? Se la risposta è sì, c’è un’altra questione. Una vittoria a Sirte aumenta di molto il prestigio militare del governo di accordo nazionale di Tripoli e lo mette alla pari – come minimo – con il generale Khalifa Haftar, liberatore di Bengasi, e detestato nell’ovest del paese. In questa situazione di parità, le due parti sono pronte per scendere a patti? La settimana prossima è previsto a Tobruk il voto di approvazione del governo di accordo nazionale. E’ il passo formale che può portare alla riconciliazione.

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  • Daniele Raineri
  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)