La strage islamista di Orlando che Obama non vede
New York. Barack Obama è, come al solito, a corto di aggettivi quando si tratta di descrivere un massacro la cui natura è stata esplicitata dall’autore in una telefonata e poi rivendicata dallo Stato islamico, che ha lodato uno dei suoi combattenti. “An act of terror and an act of hate”, un atto di terrorismo e un atto di odio, ha detto il presidente, sorvolando sul carattere islamico del più grave attacco terroristico dopo l’11 settembre 2001, e spiegando invece “quanto è facile per chiunque mettere le mani sulle armi”. Per la Casa Bianca la strage si colloca all’incrocio fra la cultura delle armi da fuoco e l’ “hate”, ovvero l’odio per gli omosessuali, l’omofobia che è fenomeno generalmente spacciato come esclusiva di bianchi conservatori, in un arco discriminatorio che va dal Ku Klux Klan alla chiesa cattolica.
Anche dopo la strage di San Bernardino, in California, a caldo Obama se l’era presa con le armi da fuoco, e quando tutti gli indizi e tutte le prove si sono inequivocabilmente messi a puntare verso il terrorismo islamico aveva dovuto fare un passo indietro, ammettendo che era il frutto di un processo di radicalizzazione. A Orlando non c’è margine d’interpretazione sul movente. Il 29 enne Omar Mateen, americano di origini afghane, è entrato nella notte fra sabato e domenica nel locale Pulse, icona della scena gay di Orlando, in Florida, con un fucile semiautomatico AR 15 e una pistola, dove ha ucciso 50 persone e ne ha ferite 53, prima di essere ucciso dalle forze speciali che hanno fatto irruzione nel locale dopo un lungo assedio. Mateen ha tenuto molte persone in ostaggio per alcune ore prima di ucciderle, una dinamica che fa pensare a una specie di esecuzione di massa, faccenda se possibile anche più atroce dei massacri fra la folla innocente a cui lo Stato islamico ha tragicamente abituato l’occidente.
Anche la candidata democratica alla presidenza, Hillary Clinton, si è allineata alla retorica del terrore omofobo senza ulteriori aggettivi, lei che è solita condannare il “jihadismo radicale”, lasciando intendere che il jihadismo standard è tollerabile. In conformità al protocollo del politicamente corretto, Hillary ha eseguito la rituale condanna delle armi da fuoco: “Dobbiamo tenere le armi lontane dalle mani dei terroristi”, ha scritto in una nota. Mateen aveva ottenuto legalmente le armi, nonostante fosse stato messo sotto inchiesta dall’Fbi nel 2013 e nel 2014 per sospetti legami con ambienti terroristici. Le indagini non hanno portato risultati.
Inquadrando di mettere le mani su un bottino elettorale, Donald Trump, il vendicatore degli eufemismi anti discriminazione, è immediatamente passato all’attacco, e prima ancora che Obama parlasse alla nazione ha cinguettato una profezia che non era difficile indovinare: “Il presidente Obama dirà finalmente le parole ‘terrorismo islamico radicale’? Se non lo fa, deve immediatamente dare le dimissioni!”. E’ inevitabile che il massacro di Orlando finisca nel tritacarne della campagna, e Trump cercherà di sfruttare il filone del terrorismo islamico per convincere gli americani di essere l’uomo giusto per garantire la sicurezza. La strage di San Bernanrdino lo aveva aiutato a consolidare il consenso prima dell’inizio delle primarie e ora reitera la controversa proposta di chiudere le frontiere americane per i musulmani: “Quello che è successo a Orlando è soltanto l’inizio. La nostra leadership è debole e inefficace. L’ho detto e ho chiesto la chiusura. Dobbiamo essere duri”.
La scelta del locale gay come obiettivo della violenza islamista è inedita ma non sorprendente. Le punizioni contro gli omosessuali sono un tema ricorrente nella propaganda dello Stato islamico, che dà grande risalto all’esecuzioni di gay, solitamente gettati dai tetti di palazzi oppure lapidati a morte. A Los Angeles un uomo “armato pesantemente” è stato arrestato nei pressi di una parata per l’orgoglio omosessuale. In macchina aveva armi da fuoco ed esplosivi.
Proprio in una moschea della periferia di Orlando, tre anni fa l’imam Sheikh Farrokh Sekaleshfar aveva dichiarato, ripreso dalle telecamere, che la punizione per i gay è la morte, “tutti lo sappiamo e non c’è nulla di cui essere imbarazzati”. Diversi leader religiosi locali avevano denunciato Farrokh come un istigatore di violenza contro gli omosessuali, ma le loro parole si erano perse nel vuoto, come spesso capita quando gli istinti liberal verso l’islamofobia e l’omofobia vanno in cortocircuito.