Il jihad alla porta di casa
In Francia l'intelligence fallisce ancora, ma il vero disastro è culturale
Parigi. Uno schedato “S” ma “non una minaccia concreta” per i servizi segreti francesi, nonostante una condanna nel 2013 a tre anni di prigione per l’appartenenza a una rete jihadista tra Francia e Pakistan. Larossi Abballa, venticinquenne originario di Mantes-la-Jolie, non era più un sorvegliato speciale dell’intelligence, e lunedì notte, a Magnanville, a nord-ovest di Parigi, ha assassinato un alto funzionario di polizia davanti alla sua abituazione, gridando “Allahu Akbar”, prima di entrare, accoltellare anche la compagna e infine dichiarare fedeltà allo Stato islamico su Facebook Live. E’ il jihad sull’uscio di casa, che torna a disvelare tutta la fragilità della Francia, anche se per buona parte della classe politica questo terrore non ha ancora un aggettivo.
“Non è un terrorismo qualunque, è terrorismo islamista, portato avanti dall’islam radicale. Tuttavia, c’è ancora una paura generalizzata a stigmatizzare la comunità musulmana attraverso l’islamismo. Il presidente François Hollande ha parlato di ‘terrorismo’, ma ancora una volta, come dopo Charlie Hebdo e il Bataclan, non ha osato aggiungere l’aggettivo ‘islamista’. Soltanto il primo ministro, Manuel Valls, ha detto senza autocensure che l’islam politico è all’origine del terrorismo che negli ultimi due anni ha colpito la Francia”, spiega al Foglio Ivan Rioufol, intellettuale e giornalista del Figaro. “Non designare il nemico, l’islam radicale, impedisce di combatterlo. Siamo in un circolo vizioso, dove il governo e tutti coloro che non chiamano il nemico con il proprio nome sono complici di questa ideologia totalitaria che punta a intimidire la società e tenta di prendere in ostaggio tutta la comunità musulmana”, aggiunge Rioufol. Nella sua ultima opera, “La guerre civile qui vient”, Rioufol condanna il politicamente corretto come principale alleato dell’islamismo e invita i suoi compatrioti a un sussulto contro questa ideologia apocalittica. Ma a sentire Hollande e i suoi compagni di governo, la Francia sembra voler continuare a chiudere gli occhi dinanzi alla realtà. “Da quarant’anni questo mondo politico sonnolento si sforza di non vedere i disastri che ha prodotto, l’immigrazione scriteriata e il comunitarismo islamico. Non penso, purtroppo, che questo mondo avrà la lucidità di combattere frontalmente ciò che sta accadendo”, dichiara al Foglio Rioufol. Come a dire: non c’è rafforzamento della sicurezza che tenga se manca l’intenzione di guardare in faccia il nemico da sconfiggere. “Solo la società civile può diventare una forza politica capace di evadere dalla gabbia del politicamente corretto che uccide il dibattito”.
Il presidente americano Obama e Hillary Clinton, dopo la strage jihadista di Orlando, hanno incolpato le armi per la proliferazione del terrorismo. E in Francia, allora, dove il terrorismo dilaga anche se la vendita di armi è vietata? “Le reticenze dei politici francesi sono le stesse di quelli americani, e più in generale della maggior parte delle personalità politiche del mondo occidentale, con l’eccezione di Donald Trump. Questo fatto mostra tutta la fragilità dell’occidente dinanzi all’islam radicale, che è ancora minoritario ma sta acquistando sempre più forza approfittando della pavidità e della mollezza delle nostre élite”, spiega Rioufol. “Quando Obama incolpa le lobby delle armi piuttosto che incolpare l’islam radicale, si dimentica di dire che quest’ultimo è il principale propagatore di violenza. In Francia, la vendita delle armi è vietata, ma gli islamisti se le procurano facilmente tramite altri canali”. Nella lotta al terrorismo, bandire le armi da fuoco è soltanto un palliativo.