Islam totalitario, purezza al lavoro contro ogni diverso
La carneficina di Orlando, in Florida, ha brutalmente riproposto all’attenzione dell’opinione pubblica mondiale il tema dell’odio. Un tema troppo spesso ignorato, come se esso avesse un ruolo marginale nella vita (individuale e collettiva). Non di questo avviso erano Lenin e Hitler, i quali ebbero una chiara percezione che l’odio non solo era la passione più diffusa; era anche l’indispensabile e decisiva risorsa a disposizione di un leader che, con la sua chiamata rivoluzionaria alle armi, intendeva mobilitare le masse contro l’ordine esistente e i suoi rappresentanti ufficiali. E Lenin e Hitler capirono un’altra cosa di fondamentale importanza: che la forma estrema di odio si ha quando esso è alimentato dall’ossessione per la purezza. Accade così che tutto ciò – idee, uomini , istituzioni, eccetera – che minaccia di inquinare la società deve essere estirpato; e con la massima spietatezza. Di qui il terrorismo catartico che fu la prassi “normale” sia del totalitarismo bolscevismo sia del totalitarismo nazionalsocialismo. In nome della Classe il primo; in nome della razza il secondo.
Ebbene: mille indizi suggeriscono che l’odio dei terroristi islamisti nasca dalla stessa ossessione che animò i totalitarismi del XX secolo, cioè la purezza e il suo corollario logico: l’odio – ideologico o teologico, poca importa – contro il “diverso”. E, in effetti, è in nome della purezza della Rivelazione comunicata dal Rasul Allah – il messaggero di Dio – che i terroristi islamici oggi conducono i loro attentati terroristici. Il Dar al-Islam deve essere purificato, espellendo dal suo seno tutto ciò che è incompatibile con la granitica unità spirituale della Ummah (la comunità dei veri credenti). E poiché l’Occidente – laico e pagano -- è la principale fonte di inquinamento, il Jihad (la guerra santa) deve necessariamente assumere dimensioni planetarie. Deve essere una guerra globale, condotta con tutti i mezzi e fino all’annientamento della società che adora la Materia e la Ragione. Sul punto, la prosa di Sayyid Qutb – il massimo ideologo della Fratellanza islamica, madre di tutti i fondamentalisti – è di una chiarezza inequivocabile: “L’islam è costretto alla lotta dall’obiettivo che è suo proprio, vale a dire la guida del genere umano. La guerra è un obbligo individuale, contro gli ostacoli alla predicazione, ma sotto la forma collettiva in un gruppo ristretto, organizzato e profondamente cementato. Gli avversari sono anch’essi degli individui, raggruppati in classi, in stati, in coalizioni. Il Jihad, in reazione, è dunque assolutamente necessario in tutta la sua ampiezza. E’ un Jihad mondiale, permanente. Così essere musulmano significa essere un guerriero, una comunità di guerrieri in permanenza, pronti a essere utilizzati o no da Dio, se lo vuole e quando lo vuole, poiché Lui solo è il capo della battaglia”.
Tutto ciò, detto con il lessico di Jean Guitton, significa che il fondamentalismo islamista – “purezza al lavoro” – è “una “cospirazione organizzata” contro la Città secolare; ossia, contro la civiltà centra sulla coesistenza pacifica fra una pluralità di religioni e di etnie. Un principio che gli “zeloti dell’Islam” non possono non avversare con tutte le loro energie poiché esso si oppone frontalmente all’ideale della purezza spirituale. E’ precisamente per questo che, ormai da decenni, l’arena internazionale è dominata alla guerra culturale fra l’Occidente, liberale e pluralista, e i paesi del Dar al-Islam che si rifiutano di imboccare la via della laicità e della tolleranza.