L'aporia di Orlando
Il diritto all’amore libero e alla pistola poggiano sulla stessa idea di libertà: la sovranità assoluta dell’io. La concezione della libertà come autonomia individuale è il fondamento dell’accettazione culturale, e poi della legalizzazione, dei diritti lgbt, ma è anche il fondamento del diritto di portare armi da fuoco.
New York. Il problema sono le armi da fuoco, si dice sempre dopo una strage. In America ci sono più armi che abitanti, più “gunshop” che Starbucks, mettere le mani su un fucile d’assalto Ar-15 come quello usato a Orlando per uccidere 49 persone non è facile come ordinare un frappuccino al caramello, ma poco ci manca. Barack Obama s’è sgolato invano per convincere il Congresso a passare misure per il controllo delle armi, ma nella Costituzione materiale e formale dell’America continua a essere radicato il diritto di possedere e portare pistole. Nella strage del Pulse, a uno scenario tragicamente noto si unisce l’elemento omofobico. Omar Mateen odiava la comunità gay che liberamente si divertiva e si amava in quel locale che l’assassino aveva già frequentato.
C’è un tratto che unisce le armi da fuoco al diritto di amare chi si vuole, senza distinzione di genere: la libertà. Meglio: la libertà come pura indipendenza e autopossesso, la signoria di sé, del proprio destino e delle preferenze individuali, la self-reliance di Ralph Waldo Emerson su cui si fonda la “land of the free”. La concezione della libertà come autonomia individuale è il fondamento dell’accettazione culturale, e poi della legalizzazione, dei diritti lgbt, ma è anche il fondamento del diritto di portare armi da fuoco. Un individuo vuole poter amare chi crede, senza delegare alla natura, allo stato o alla chiesa il diritto di decidere come ci si accoppia e come si fa l’amore; un altro individuo vuole difendere se stesso, i propri beni e la propria tranquillità nel modo in cui crede, libero di diffidare dello sceriffo o di una guardia giurata. “We don’t call 911” scrivono sui cancelli nell’America rurale, fondata sulla giustizia di frontiera e l’etica pioniera, non sul Leviatano statale. Due princìpi finiti in rotta di collisione nel dibattito attorno al massacro di Orlando poggiano in realtà sullo stesso piedistallo.
Questa idea di libertà è percolata nell’ordinamento giuridico. Quando si dice che il Secondo emendamento alla Costituzione permetteva originariamente il possesso di armi per difendersi dai possibili abusi del governo, si racconta soltanto la dimensione storica della vicenda. Molto prima della Dichiarazione d’indipendenza, i giuristi e moralisti britannici che hanno ispirato i Padri fondatori concepivano il diritto alla canna del fucile come articolazione dell’autodifesa, un corollario dell’habeas corpus, e l’emendamento in questione è stato aggiornato nel tempo rispettando lo spirito costituzionale. Nel 2010 la Corte suprema ha riconfermato la validità del Secondo emendamento poggiandosi su un altro emendamento, il Quattordicesimo, lo stesso su cui i giudici hanno fatto leva per legalizzare il matrimonio omosessuale. Il diritto all’amore libero è sotterraneamente vincolato alla libertà di portare armi.
Obiezione ovvia: non si tratta di eliminare il Secondo emendamento, ma soltanto di limitare e schermare, di impedire l’accesso ai fucili d’assalto e altre enormità semiautomatiche che fanno stragi in pochi secondi, di porre vincoli e controlli per rendere più difficile la circolazione. Eppure non è facile sradicare una pratica senza ledere il principio sottostante. E non è facile spiegare alle centinaia di milioni di americani armati che non commettono stragi che lo stato vuole limitare la loro possibilità di acquistare e smerciare i modelli che preferiscono. Non è un fatto di praticabilità giuridica, ma di principio. Che dopo ogni strage si inneschi un dibattito sul “gun control” che non porta da nessuna parte è un’inevitabile aporia della libertà modernisticamente intesa. Una volta stabilito che l’individuo è sovrano, nella capacità di amare chi vuole e di difendersi come crede, ogni cessione della sovranità si trasforma in un inaccettabile sopruso verso se stessi.