Se i cinesi preferiscono i falsi agli originali il problema è soltanto nostro
Il commento di Jack Ma, fondatore e ceo del gigante dell’ecommerce Alibaba, sul business della contraffazione: “Non sono i falsi che stanno distruggendo (le grandi firme), sono i nuovi modelli di business”.
Roma. Se i mercatini, le bancarelle improvvisate sui marciapiedi, e soprattutto i negozi online, sono pieni di prodotti contraffatti, di borse di pelle marchiate “LW” e cinture griffate “Cucci”, la colpa non è dei contraffattori cinesi. “Il problema è che i prodotti falsi sono oggi di migliore qualità e a un miglior prezzo di quelli originali”, è semplicemente il mercato, bellezza. Non l’ha detto il proprietario di una fabbrica di contraffazioni, ma Jack Ma, secondo uomo più ricco di Cina, fondatore e ceo del gigante dell’ecommerce Alibaba. Jack Ma e la sua creatura sono da sempre sotto accusa per il gran numero di falsi che circolano nei suoi negozi online, specie Taobao, che fornisce una piattaforma ai venditori privati. La preoccupazione per i falsi, e dunque per un commercio illegale e pericoloso per chi lo asseconda, era in cima alla lista delle ragioni addotte dagli analisti che nel settembre 2014 sconsigliavano di comprare azioni della società cinese al momento del suo gran debutto alla Borsa di New York. Jack Ma da anni si spende per tranquillizzare gli investitori, che a suo tempo gli hanno creduto in massa: la Ipo di Alibaba è a tutt’oggi la più grande della storia di Wall Street. Ma il problema dei falsi non si è mai davvero risolto.
Di recente la giornalista Haze Fan di Cnbc ha comprato su Taobao un paio di occhiali da sole Dior a prezzo scontatissimo, il venditore forniva perfino un certificato di originalità del prodotto, che però quando è arrivato si è dimostrato un falso. Haze Fan ha denunciato il venditore ad Alibaba, che ha rimborsato la giornalista, ma non ha applicato nessuna sanzione al falsario. Così da anni è in corso una guerra tra i marchi di lusso e Alibaba, accusata di rendere facile la vita ai contraffattori. L’anno scorso Kering, gruppo francese che possiede Gucci, ha fatto causa alla società presso il tribunale di Manhattan, e Jack Ma aveva risposto con toni combattivi (le due parti hanno poi mediato una soluzione). Quest’anno Louis Vuitton ha denunciato presso un tribunale cinese alcuni singoli contraffattori su Taobao. Ancora il mese scorso, i principali giganti del lusso si sono ribellati in massa quando Alibaba ha annunciato il suo ingresso in un importante consorzio anticontraffazione, la Iacc, perché, si disse, era come far entrare la volpe nel pollaio.
Jack Ma è sempre stato accondiscendente, almeno a parole, nei confronti delle richieste dei grandi marchi, ma martedì, durante un discorso nel quartier generale di Alibaba a Hangzhou, è andato ben oltre le solite rassicurazioni: “Dobbiamo proteggere la proprietà intellettuale”, ha detto, ma poi ha aggiunto che i falsi, appunto, secondo lui sono migliori degli originali: “Sono le stesse aziende (che forniscono componenti alle società occidentali, ndr) a produrli, con gli stessi materiali ma senza usare il marchio”, per poi difendersi da tutte le accuse: “Non sono i falsi che stanno distruggendo (le grandi firme), sono i nuovi modelli di business”. Alla faccia della retorica del made in Italy, del made in France e dell’epica del lusso, il discorso utilitarista di Jack Ma mostra che il problema, per i giganti della moda ma anche, per esempio, per le case cinematografiche e discografiche, i cui contenuti sono oggetto di pirateria da sempre, è culturale. Non soltanto i falsi sono sempre più sofisticati. Il fatto è che molti clienti cinesi di Taobao non riescono a vedere la ragione (che pure c’è) per spendere di più per l’originale, e non c’è modo di convincerli. Non è solo una questione di business, è una questione, verrebbe da dire con linguaggio geopolitico, di soft power. Un’altra battaglia che stiamo perdendo.
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