La Cina vìola le acque territoriali giapponesi, venti di guerra (diplomatica)
E’ una guerra di strategia, di nervi saldi, di minacce e diplomazia, quella che sta andando in scena nel Pacifico da almeno sei anni. Negli ultimi giorni la Cina ha iniziato ad alzare il tiro soprattutto nel Mar cinese orientale, e a giudicare dal livello delle provocazioni, la situazione potrebbe condurre Pechino, Tokyo e Washington a una crisi simile a quella del 2012. Mettere in fila gli ultimi eventi può essere utile per avere un quadro generale. Il 7 giugno scorso un caccia cinese ha intercettato un Boeing RC-135 americano che stava facendo una perlustrazione di routine nel Mar cinese orientale. Il jet cinese si è avvicinato “pericolosamente” all’aereo da ricognizione statunitense, “in spazio aereo internazionale”, ha fatto sapere lo United States Pacific Command guidato dall’ammiraglio Harry Harris jr. Washington ha protestato ufficialmente, consegnando a Pechino un report dettagliato sull’accaduto, ma il ministero della Difesa cinese ha replicato rovesciando la situazione e dicendo al Global Times: il report indica che l’America continua a spiare deliberatamente la Cina. Lo stesso era accaduto un mese prima, quando due caccia cinesi volarono molto vicini all’aereo spia americano EP-3 vicino alle coste di Hainan, nel sud della Cina (nel 2001, un aereo americano e uno cinese si scontrarono proprio in quella zona, provocando una crisi tra i due paesi).
Due giorni dopo l’incidente nei cieli, il 9 giugno scorso, la Marina di Pechino ha inviato una fregata tipo 054A (Jingkai II) nelle acque delle isole contese chiamate Senkaku dai giapponesi e Diaoyu dai cinesi. Secondo il ministero della Difesa nipponico, intorno alla mezzanotte e mezzo la nave da guerra cinese avrebbe solcato le acque a nord-est dell’isola di Kuba, vicinissima alle 12 miglia nautiche che delimitano la territorialità giapponese. Nello stesso momento, altre tre navi da guerra russe sono state identificate nella zona (“una coincidenza”, hanno fatto sapere da Mosca). Tokyo ha protestato con Pechino convocando l’ambasciatore (alle 2 del mattino), perché se da una parte è permesso che la Guardia costiera cinese si avvicini così tanto alle acque amministrate dal Giappone, questo non è possibile per navi da guerra con scopi di intelligence.
L’altroieri (15 giugno), l’ultima provocazione. Per la seconda volta dalla fine della Seconda guerra mondiale una nave da guerra cinese è entrata in territorio giapponese. L’ultima volta era avvenuto nel 2004, quando un sommergibile nucleare fu beccato intorno alle isole Sakishima, nel sud del Giappone. Alle 3 e 30 del mattino di mercoledì scorso, una nave cinese della classe Dongdiao – una nave spia che Pechino invia spesso durante movimenti nel Pacifico – è stata identificata a ovest dell’isola di Kuchinoerabu, e avrebbe lasciato l’area un’ora e mezzo dopo. Il fatto è particolarmente grave, ed è totalmente diverso dalla questione delle Senkaku. Perché sull’isola di Kuchinoerabu – 38 chilometri quadrati per soli 147 abitanti – non pende alcuna disputa territoriale. Non solo: l’area è a soli settanta chilometri dalla più grande isola di Kyushu, la terza del Giappone. In questo periodo in quella parte del Pacifico India, Stati Uniti e Giappone stanno effettuando le esercitazioni militari “Malabar”. Secondo il ministro della Difesa nipponico, Gen Nakatani, la nave cinese sarebbe entrata nelle acque territoriali giapponesi seguendo due navi indiane.
Nel Mar cinese meridionale la situazione è ancora più complicata. Martedì scorso si è concluso un incontro tra diplomatici di alto livello di Cina e dei paesi dell’Asean. Sul tavolo c’era un accordo sulla gestione delle dispute territoriali e di diritto della navigabilità. Come riportato dal Wall Street Journal, il summit si è concluso senza un comunicato congiunto, a dimostrazione che l’assertività nell’area – Pechino reclama gran parte del Mar cinese meridionale e sta costruendo isole artificiali a uso militare – e la pressione che la Cina esercita sui paesi vicini stanno rivelando le debolezze dei paesi dell’Asean: la loro incapacità di gestire la sicurezza della regione e affrontare questioni diplomatiche sensibili.
Dalle piazze ai palazzi