L'Europa è piena di “utili idioti di Putin”, dice Polyakova dell'Atlantic Council
Roma. “Gli utili idioti di Putin? Il Cremlino e l’estrema destra in Europa”. E’ un’espressione forte quella usata da Alina Polyakova, vicedirettore del Dinu Patriciu Eurasia Center dell’Atlantic Council di Washington, nella sua relazione a un convegno che lo stesso Atlantic Council e l’Istituto Gino Germani di Scienze Sociali e Studi Strategici hanno tenuto a Roma il 9 giugno scorso. Tema: il soft power russo, non meno importante dell’hard power di cui pure ultimamente si è tornato a parlare, con la Nato pronta a schierare quattro battaglioni al confine est e la Russia che risponde con nuovi wargame vicini al confine. “Dall’inizio della crisi in Ucraina e dal ritorno delle tensioni tra la Russia e l’occidente, Mosca sembra aver esteso il suo soft power in Europa”, era il punto di partenza dell’evento. Evidentemente si tratta di strategie talmente efficaci che lo stesso convegno ha dovuto tenersi al Centro conferenze del Tempio di Adriano per via di un veto che ha impedito l’utilizzo di strutture della Camera. Un veto da parte “di un movimento politico che non sta al governo, ma vuole arrivarci”, ha rivelato diplomaticamente al Foglio l’ambasciatore Luigi Vittorio Ferraris, moderatore del convegno.
Ma “utili idioti” non è un’espressione da Internazionale comunista? C’è continuità tra il soft power sovietico e quello putiniano? “Non si possono comparare del tutto le strategie dell’Unione sovietica e quelle della Russia di Putin”, spiega Alina Polyakova al Foglio. “Sono due paesi molto diversi. L’Unione sovietica era molto più rigida, molto più centralizzata, molto più determinata nel destabilizzare l’Europa occidentale e anche paesi dell’America latina o dell’Africa. C’è però una continuità di personale. Putin, non dimentichiamolo, è stato un ufficiale del Kgb, e il suo regime nasce dalla fusione tra la burocrazia statale e i servizi di sicurezza. Non c’è una internazionale putiniana vera e propria sul modello dell’Internazionale comunista, ma si cerca di sviluppare relazioni con individui e organizzazioni che possano avere influenza a favore dello stato russo, e di investire in media e campagne di disinformazione. E’ una strategia coerente, e costa di meno del tipo di soft power dell’èra sovietica”.
La relazione si è soffermata sull’estrema destra, ma simpatie per Putin vengono anche dall’estrema sinistra. “Sì. Per la prima volta in molti anni partiti storicamente avversi, con radici nel comunismo e nel fascismo, si riconoscono in una simpatia comune. E’ molto strano, ma non inaspettato. C’è in Europa un sentimento di disincanto che porta a cercare soluzioni o all’estrema destra o all’estrema sinistra. E la Russia gioca in entrambe le direzioni”. Nel caso del Front National francese è stato accertato che dalla Russia era arrivato un effettivo finanziamento. C’è evidenza di altri flussi finanziari del genere? “In altri paesi il quadro non è molto chiaro. E’ stato il ministro degli Esteri ceco a dire di recente al Financial Times che la Russia sta finanziando l’estrema destra ceca e anche in altri paesi, ma ha riconosciuto di non avere prove. Quello che è evidente sono le forze politiche che parlano e agiscono in favore del Cremlino”. Possiamo fare una mappa di questi movimenti filo Putin? Nella relazione è citata per esempio la Lega nord di Salvini… “Prima di tutto c’è la Fpö in Austria, Jobbik in Ungheria. L’ungherese Viktor Orbán, ma non il suo partito in blocco: in Ungheria c’è una situazione un po’ strana. Alba Dorata, Tsipras no: tenta piuttosto di giocare su due fronti. E’ più apertamente filorusso Vucic in Serbia. Potrebbero aver preso finanziamenti dalla Russia l’Ukip e la campagna per la Brexit, così come la destra radicale in Scandinavia. E verrebbe da pensare anche a Podemos, dopo che si è scoperto dei finanziamenti ricevuti da Venezuela, Iran e Qatar”.
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