La sinistra tedesca sgomita per uscire dall'abbraccio di Merkel
La crisi dell’Spd non è più limitata ai sondaggi d’opinione. Cosa tiene assieme l’uscita del ministro degli Esteri Steinmeier, più simpatizzante con Putin che con la Nato, e l’appello di Gabriel a Verdi e sinistra vetero-comunista.
Non è un ribaltone, certo. Previsto in teoria dalla Legge fondamentale della Germania, un cambio di cavallo in corsa non è all’ordine del giorno: mancano sia le condizioni politiche sia i numeri al Bundestag. Per i prossimi mesi Angela Merkel può stare tranquilla: i socialdemocratici non denunceranno il patto di grande coalizione firmato a Natale del 2013. E tuttavia il partito del vicecancelliere Sigmar Gabriel, è in grave sofferenza. Di solito si parla di mal di pancia. In questo caso l’addome si è gonfiato al punto che non c’è camicia o vestaglia che tenga: ai socialdemocratici va stretto tutto, dalla Große Koalition fino all’Alleanza atlantica. È stato il ministro degli Esteri Frank-Walter Steinmeier ad aprire le danze: “Quello che non dovremo fare è infiammare la situazione con nuove minacce e gridi da guerra”, ha dichiarato alla Bild am Sonntag, versione domenicale del primo tabloid tedesco.
Il capo della diplomazia non ce l’aveva contro l’ennesimo test atomico del dittatore nordcoreano Kim Jong-un ma con “Anakonda-16”, l’ultima esercitazione della Nato. Per due settimane l’Alleanza atlantica ha simulato una risposta a un ipotetico attacco russo sul fronte orientale, muovendo 31 mila effettivi (americani, polacchi e britannici), tremila mezzi, una dozzina di caccia e di navi da guerra. Fingendo di essere caduto da un pero anziché di parlare dall’Auswärtiges Amt di Berlino, il ministro ha definito “un errore fatale concentrare il focus (delle relazioni con la Russia, nda) al solo aspetto militare, cercando rimedi con la deterrenza”. Parole che esprimono tutta la frustrazione dell’Spd per la linea dura dell’Occidente contro Vladimir Putin e la sua politica in Ucraina orientale. Steinmeier si è sempre dimostrato molto tiepido con le sanzioni contro Mosca – “non sono un fine in sé” –, lavorando invece per il rientro della Russia nel G7, ma a innervosirlo deve aver contribuito la passerella riservata dal Cremlino all’Italia e a Matteo Renzi al Forum di San Pietroburgo.
Va anche riconosciuto all’Spd di essere in buona compagnia nella Germania riunificata, un paese ciclicamente accusato da Oltreoceano e dagli inglesi di essere nella Nato più per caso che per scelta: anche la cancelliera cristiano-democratica vorrebbe rapporti meno tesi con la Russia e con le sue imprese. Fra il dire e il fare, però, ci sono i baltici e i polacchi, che alla Conferenza per la Sicurezza di Monaco dello scorso febbraio hanno spiegato con molta chiarezza agli ospiti tedeschi di temere una zampata dell’orso russo. Berlino avrà modo di chiarirsi con gli alleati atlantici al vertice Nato in programma, guarda un po’ il caso, a Varsavia il prossimo 8 luglio. A rompere sul fronte interno con il partito della cancelliera ha provveduto intanto proprio il leader dei socialdemocratici. Nonostante il bilancio positivo dell’esperienza di governo (reddito minimo, pensioni a 63 anni, apertura ai rifugiati), l’Spd è in crisi nera e i sondaggi la danno a un risibile 19%. Dalle pagine dello Spiegel, Sigmar Gabriel ha dunque sollecitato la creazione di un’alleanza “di tutte le forze progressiste”, e cioè di Spd, Verdi e social-comunisti della Linke. Il partito è pronto al cambio di alleanza: prima di imbarcarsi nella nuova (dis)avventura con Merkel, nel 2013 il congresso ha mandato in soffitta un vecchio tabù, aprendo (in teoria) a coalizioni con gli eredi della Ddr. I vicesegretari dell’Spd e la Linke hanno accolto con vero entusiasmo l’ultima proposta del vicecancelliere di lotta e di governo, ma per il Bundestag si vota fra oltre un anno. Fra sei mesi, però, i deputati dovranno eleggere il nuovo capo dello Stato: un candidato unico delle sinistre sarà la prova che il “ribaltone” di Gabriel è andato in porto.