Dopo Orlando, vietato il dissenso lgbt sull'islam
A gennaio, il britannico Gay Times ha pubblicato un articolo morbosamente affascinante. Dopo gli attacchi a Parigi e il lancio di gay dagli edifici dell’Isis a Raqqa, la rivista aveva chiesto: “L’islam è una minaccia per la comunità gay?”. La risposta della maggioranza dei lettori è stata: “No”. Dopo Orlando, Facebook fa rispettare l’ingiunzione e ha vietato una pagina della rivista Gaystream, dopo che questa aveva pubblicato un articolo critico dell’islam sulla scia del massacro in Florida. Il direttore di Gaystream, David Berger, aveva pesantemente criticato il direttore del Museo Gay di Colonia, Birgit Bosold, che aveva detto ai media tedeschi di avere più paura degli uomini bianchi e bigotti che dei radicali islamici e dei migranti. “Chi aveva immaginato il culmine del masochismo e dell’appeasement all’islam da parte dei professionisti dell’omosessualità sarà ora confuso: è ancora più masochista e perverso”, ha scritto Berger. Gaystream e Berger accusano il ministro della Giustizia tedesco Heiko Maas di essere dietro la censura di Facebook. Nel post sotto accusa si attaccano gli attivisti di sinistra “che minimizzano la componente religiosa”. La pagina ha condiviso una serie di altri post che sostenevano argomentazioni analoghe. Ognuno è stato successivamente oscurato.
Facebook non è il primo gigante social che fa censura su Orlando e l’islam. Reddit ha cancellato migliaia di post sul massacro al Pulse e Twitter ha sospeso l’account del gay conservative Milo Yiannopoulos, la cui “colpa” è stata questo cinguettio dopo i cinquanta morti: “La cosa più terribile che un gay possa sentire è ‘Allahu Akbar’”. Perché la destra americana di Pat Robertson, al più, vuole impedire ai gay di sposarsi, non lanciarli dai palazzi in Siria o sterminarli al nightclub. Un altro giornalista gay, Jim Hoft, il creatore del popolarissimo blog Gateway Pundit, ha fatto coming out proprio dopo Orlando, invitando il popolo lgbt a denunciare l’omofobia dell’islam. Come aveva fatto un gay olandese di nome Pim Fortuyn, che praticativa il dandismo, “dernier éclat de l’héroïsme dans la décadence”, come quanto vi sia di meglio nell’orgoglio umano, dallo spirito d’opposizione alla decisione di non cedere al cuore. Già allora, su Repubblica, Antonio Polito lo definì “il gay xenofobo che odiava l’islam”. “Ho costruito uno dei più importanti siti web conservatori in America perché volevo dire la verità”, ha detto Hoft. “Non posso più rimanere in silenzio mentre i miei fratelli e sorelle omosessuali vengono massacrati nelle discoteche”.
Per questo l’account di Hoft è stato sospeso da YouTube. Il mese scorso, Facebook ha lanciato l’“iniziativa per il coraggio civile online”, il cui obiettivo è rimuovere tutti “i post che incitano all’odio”. Già all’epoca delle vignette su Maometto di Charlie Hebdo, Facebook aveva dato prova di solerzia censoria. Quando il settimanale francese le Point aveva diffuso alcune caricature, fra l’altro le meno urticanti, nel giro di un’ora articolo e immagine scomparvero da Facebook. A settembre, Angela Merkel aveva incontrato il capo di Facebook Mark Zuckerberg in un vertice dell’Onu sull’ambiente a New York. A margine del summit, dal microfono acceso della cancelliera tedesca, Zuckerberg si era sentito chiedere se ci fosse il modo di impedire la pubblicazione su Facebook di commenti contrari alla vulgata su islam e immigrazione. Zuckerberg l’ha rassicurata che lo stava facendo. Oh, se lo sta facendo.