Gli omosessuali sono ancora vittime dell'autoritarismo religioso dell'islam
Parigi. In attesa che il mondo progressista occidentale apra gli occhi su certi aspetti del mondo islamico incompatibili con i valori, le libertà e i diritti garantiti dalle nostre costituzioni, sono alcuni brillanti intellettuali di cultura arabo-musulmana ad abbattere le barriere del politicamente corretto. Lo ha fatto lo scrittore algerino Kamel Daoud dopo lo stupro di massa di Colonia, raccontando sul New York Times “la miseria sessuale nel mondo di Allah” e i “corpi sorvegliati” in molte terre dell’islam. Lo ha fatto di recente, sul Wall Street Journal, Ayaan Hirsi Ali, dissidente islamica di origini somale, spiegando che “la legge islamica, derivata dai testi sacri e evolutasi nel corso dei secoli, non solo condanna ma prescrive punizioni crudeli e disumane per l’omosessualità” e che “su 57 paesi a maggioranza musulmana almeno 40 hanno leggi che criminalizzano l’omosessualità”. E lo ha fatto venerdì, sul Monde, il giornalista siriano Mohammed Sha’ban in un articolo intitolato: “La solitudine degli omosessuali nei paesi arabi e musulmani”. Sha’ban, collaboratore di diverse pubblicazioni arabofone tra cui al Hayat e rifugiato politico in Francia, è partito dalla strage jihadista di Orlando e dalle reazioni nei paesi islamici: “Dolore, pena immesa e collera: sono i sentimenti legittimi che abbiamo per le vittime di Orlando”.
Ma oltre al giustificato cordoglio, alla commozione, ai Je suis Orlando, alle manifestazioni, ai principali monumenti del mondo illuminati con i colori della bandiera lgbt, bisogna cominciare ad affrontare di petto altre questioni, certamente più scomode e poco corrette, ma fondamentali per comprendere questi drammi. Perché se è vero che l’attacco di Omar Maaten è stato “condannato da un gran numero di arabi e musulmani”, è vero anche che le “reazioni in alcuni paesi islamici provano che l’autoritarismo religioso ha lasciato tracce che le rivoluzioni non hanno cancellato”, scrive Sha’ban. “Niente suggerisce ottimismo. La discussione e l’analisi di un fenomeno come l’omofobia non sembra possibile. Le grida di giubilo suscitate in alcune persone dalla sorte delle vittime mostrano l’impatto dell’autoritarismo religioso e della dittatura. Seppur in misura minore, l’opinione oscilla tra una colpevolizzazione e un rifiuto in forma di domande e conclusioni brutali quali ‘ecco ciò che le loro mani hanno creato…’. Le vittime sarebbero punite per la loro ‘miscredenza’ e non manca l’immancabile frase: ‘Questo non rappresenta l’islam’”. A fronte di ciò, Sha’ban afferma qualcosa che molti suoi colleghi occidentali non hanno il coraggio di dire in modo netto, terrorizzati dall’essere tacciati di islamofobia: “E’ urgente ripensare la relazione tra l’islam, l’omosessualità e la società civile nel suo insieme. L’omosessualità è considerata nell’islam come uno dei ‘peccati’ più gravi”.
Il giornalista siriano affronta anche la violazione dei più elementari diritti degli omosessuali in molti paesi islamici e il tema delle punizioni corporali e della pena di morte. “Dopo il so stegno apportato da novantaquattro paesi alle risoluzioni dell’Assemblea generale dell’Onu e al Consiglio dei diritti dell’uomo che obbligano gli stati a rispettare i diritti fondamentali delle lesbiche, dei gay, dei bisessuali e dei transessuali, questa causa sembra ancora essere nella sua fase iniziale nei paesi arabi e in medio oriente, per non dire inesistente… Le leggi in vigore nei paesi arabi e musulmani continuano a sanzionare gli omosessuali, che sono esposti a multe, estorsioni, prigione e talvolta alla pena di morte”. E ancora: “Le organizzazioni di difesa degli omosessuali hanno ragione di reclamare la fine dell’oppressione, ma ignorano la natura di queste società quando queste chiedono loro di mostrarsi alla luce del sole, visto che nessuna struttura efficace è in grazie di proteggerli, nonostante gli interventi sulla stampa e sui siti internet”. E qui Sha’ban tocca il centro del problema: “In ragione dell’interferenza dell’aspetto religioso e tradizionale, gli omosessuali non trovano posto nella propria società. A ciò si aggiunge l’assenza di organismi che permettendo di affrontare il soggetto in maniera obiettiva e scientifica”.
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