In Francia e Belgio è iniziata (in sordina) la lotta al "radicalismo sindacale"
Roma. Tra grandi eventi sportivi e minacce terroristiche, in Francia e in Belgio le manifestazioni sindacali continuano senza sosta, mentre i rispettivi governi tentano a fatica di garantire l'ordine pubblico. Mercoledì l'esecutivo francese ha dapprima vietato una manifestazione contro la riforma del Lavoro indetta per giovedì 23 giugno, salvo poi ritrattare il divieto nel giro di poche ore, dopo che le maggiori sigle sindacali e i partiti della sinistra erano insorte. Al termine di una giornata di polemiche, Philippe Martinez, segretario generale della Confederazione generale del Lavoro (Cgt) ha annunciato infine di aver "ottenuto il diritto di manifestare". Il percorso del corteo, però, lo ha deciso l'esecutivo, che ha raggiunto un compromesso tra una manifestazione statica (proposta avanzata dal ministro Bernard Cazeneuve) e una che avrebbe dovuto seguire, nei piani dei sindacati, un percorso ben più lungo. Alla fine si è optato per un "girotondo", come l'ha definito ironicamente Jean-Luc Mélénchon, del Partito di sinistra.
Tutto era iniziato una settimana fa, dopo le violenze del 14 giugno scorso tra i lavoratori e gli studenti che contestavano la "loi travail" e le forze dell'ordine. Il presidente François Hollande aveva ventilato l'ipotesi di vietare temporaneamente le manifestazioni di protesta se le forze di polizia non avessero potuto garantire "la sicurezza dei beni e delle persone". L'allarme era stato rilanciato dallo stesso Cazeneuve, che aveva sottolineato come "il livello di minaccia è estremamente elevato", considerando che "le forze di polizia sono impegnate da diverse settimane per l'Europeo di calcio e alle frontiere" per far fronte a "un contesto migratorio particolare". Gli scontri di questi giorni tra tifosi e polizia, aveva ricordato Cazeneuve, "hanno già provocato oltre 500 poliziotti feriti".
Ma la decisione di concedere una giornata di respiro alle forze dell'ordine aveva incontrato reazioni rabbiose da parte delle sigle sindacali. "Manifesteremo lo stesso, vedremo come risponderà la polizia", aveva minacciato Karl Ghazi del Cgt. "E' una dichiarazione di guerra", aveva rincarato Benjamin Amar dello stesso sindacato. Il leader dei Verdi, David Cormand, aveva persino parlato di "strategia della tensione irresponsabile" da parte del governo. La destra si è invece divisa: i repubblicani Alain Juppé e François Fillon avevano appoggiato la decisione del governo, mentre l'ex presidente Nicolas Sarkozy aveva parlato di "decisione poco ragionevole per un governo repubblicano". Ancora più deciso il commento di Marine Le Pen, leader del Front National, che aveva definito la decisione del governo un "attentato alla democrazia". Una gaffe, quella del presidente del partito nazionalista, che solo un mese fa si era detta favorevole a vietare le manifestazioni "nel caso di gravi situazioni d'urgenza". Dopo un'ultima riunione con i sindacati a Place de Beauvau, l'esecutivo è stato costretto a fare marcia indietro.
Radicalismo sindacale
In Belgio si vive un "clima ansiogeno" (definizione del Soir) molto simile a quello francese. I sindacati delle maggiori categorie hanno indetto da settimane scioperi contro il piano severo di austerity e privatizzazioni deciso dal governo di centrodestra, accusato di voler passare da 38 ore di lavoro settimanale a 45. Lo scorso 24 maggio oltre 10 mila persone avevano manifestato contro l'esecutivo guidato da Charles Michel che oggi, in diretta televisiva sul canale Rtl, ha usato parole dure per stigmatizzare l'ennesimo sciopero generale previsto per venerdì 24 giugno. Il premier belga ha ripetuto due volte nel giro di 10 minuti l'accusa di "radicalismo sindacale" agli organizzatori delle continue mobilitazioni.
Alcuni tra questi, ha spiegato, intendono "sovvertire un governo che deve la sua legittimità al suffragio universale". "Contesto questo sciopero che ritengo non creerà nemmeno un posto di lavoro in più né darà una buona immagine del paese all'estero", ha aggiunto Michel. "Si tratta di radicalismo sindacale che alimenta l'idea – che io non condivido – che esistano due democrazie". La replica ferma delle corporazioni è arrivata immediata: "Il governo la smetta di dire menzogne".