Anche tra i media inglesi inizia un regolamento di conti
Milano. Nell’ultimo giorno utile per invitare gli inglesi ad andare a votare al referendum, i giornali hanno avuto ancora una volta un ruolo importante. Anche di sintesi: il Sun titolava sul giorno dell’indipendenza che stava sorgendo, quello in cui il Regno Unito si libera dell’Europa, con una luce in fondo a dare speranza, mentre il Mirror aveva un buco nero sulla copertina, un vortice, la scritta non fatevi trascinare nel buio, votate per rimanere in Europa. Queste due immagini raccontano bene lo stato d’animo, i sostenitori della Brexit contano su un avvenire radioso, i sostenitori del “remain” vedono soltanto il disastro in arrivo. I media inglesi negli ultimi giorni hanno fatto i loro endorsement ufficiali, e non ci sono state grandi sorprese: dopo che si è scoperto – abbastanza di recente, ma si sa che la sensibilità aumenta quando il verdetto s’avvicina – che gli esperti, i fatti, i commenti oculati e precisi non servivano granché, i giornali hanno iniziato a fare il tifo senza preoccuparsi troppo della verità (qualunque cosa s’intenda per verità). Abbiamo visto pubblicati dilemmi della Regina mai confermati, numeri a caso sull’immigrazione, sui rapporti commerciali tra Europa e Regno Unito, sulle ripercussioni economiche, sociali e familiari di questo o quell’altro scenario, e anche noi lettori ci siamo persi nel tifo. La sintesi degli endorsement vede i giornali più legati al mondo del business e della City e quelli laburisti a favore del “remain”: anche il Times, che fin da subito aveva detto di avere orecchie e occhi aperti sulla campagna per valutare strada facendo, ha infine deciso per il “remain”. Al di là dei posizionamenti alle elezioni generali, significa che dal punto di vista economico, i sostenitori della Brexit non sono riusciti a far passare un messaggio di stabilità: nell’immediato l’incertezza ha sempre effetti negativi sui mercati, è difficile sostenere il contrario.
La prima pagina della free-press Metro di giovedì (foto LaPresse)
La scelta del Times è stata molto discussa perché riguarda soprattutto il ruolo di Rupert Murdoch nella politica inglese. Da un punto di vista strettamente editoriale la spiegazione è chiara: i lettori del Times sono più metropolitani ed eurofili rispetto ai lettori del Sun, il tabloid del gruppo News Corp., che infatti non ha mai segnalato alcuna cautela – non è nella sua natura – e anzi ha inaugurato la stagione degli endorsement facendo tremare il fronte del “remain”. Il nuovo numero dello Spectator, magazine conservatore che si è schierato per il “leave”, segnala al di là del risultato del referendum (è uscito giovedì) che esiste una frattura enorme all’interno del paese, ed è quella che divide l’élite metropolitana dal resto del paese. E’ la stessa frattura che si è vista durante la campagna sintetizzata dall’espressione “Establishment vs People”, che riguarda come si sa non soltanto il Regno Unito e che continuerà a farsi sentire anche oggi che pure c’è il verdetto sulla Brexit. Sky News, che è sempre del gruppo di Murdoch, è stata invece più in linea con l’atteggiamento del Times senza schierarsi in modo troppo smaccato.
Naturalmente la domanda è: c’è qualche strategia in corso in casa Murdoch di cui ancora non si conoscono i contorni? La risposta non è ancora stata trovata, è troppo presto, ma di certo al momento la chiacchiera più grande è quella che riguarda la presenza del neosindaco di Londra Sadiq Khan al cocktail estivo che la settimana scorsa Rupert Murdoch ha tenuto a Londra: il laburista musulmano a casa dello Squalo? A molti suoi compagni di partito devono essere venuti i capelli dritti, ma si sa che Khan non è considerato un alleato sicuro e fedele dalla leadership del Labour: quando era in campagna elettorale per Londra, Khan si è tenuto il più possibile distaccato da Jeremy Corbyn (pur avendo contribuito alla sua nomina) e quando era in campagna referendaria per il “remain” si è presentato su un palco assieme al premier conservatore David Cameron, cosa che Corbyn non si è mai sognato di fare (soltanto l’uccisione di Jo Cox ha unito i due leader nel cordoglio).
Se inizia una nuova fase di assestamento della politica britannica dopo il tormento referendario, anche nei media le ripercussioni si sentiranno. E’ stata siglata una petizione – ci sono già 50 mila firme – contro il direttore del Daily Mail, Paul Dacre, personaggio istrionico e influente, per come ha trattato i temi più importanti del referendum, in particolare l’immigrazione. Lo chiamano “il Nigel Farage dei giornali”, dicono che ha fatto titoli estremi e in parte falsi, che hanno aumentato la brutalità del dibattito. Il tabloid risponde dicendo che si è limitato a raccontare un sentimento molto presente nel paese, ma anche qui il regolamento di conti deve ancora cominciare. Con un piccolo dettaglio: l’edizione domenicale del Mail si è pronunciata a favore del “remain”, sottolineando ancora una volta la frattura esistente nel paese.
A confondere ancora più un contesto già affaticato da mesi di urli, c’è stato anche il mondo dei social che, secondo le analisi, è sempre stato molto più a favore del “leave”. Essendo i social uno strumento ben più volatile rispetto ai media tradizionali – che rispondono a editori e lettori – è facile immaginare che la turbolenza si calmerà più in fretta, fermo restando che come spesso accade la percezione della realtà è condizionata dall’attualità e che, soprattutto sui social, c’è poca memoria storica. Chi ha votato anche nel 1975, l’ultimo referendum europeo del paese, sostiene che oggi, in confronto ad allora, i toni sono molto più delicati. Per gli osservatori sembra impossibile, e non fanno che ripetere che tornare a una maggiore moderazione è un imperativo a cominciare da adesso.
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