“Europa, non darci in pasto a Erdogan”
Istanbul. “Oggi ho iniziato la mia giornata al Palazzo di giustizia, ho passato lì mezza giornata a parlare col Procuratore. E’ una cosa che accade spesso. Quando ero in tribunale ho appreso che due nostri colleghi stavano per essere arrestati. In condizioni normali sarei lì a difenderli”. A parlare con il Foglio è Can Dündar, direttore del più antico quotidiano tuttora in circolazione nel paese, Cumhuriyet (“La Repubblica”), laico, di centro sinistra. Poco dopo l’intervista, i colleghi di cui si vociferava in tribunale sono stati effettivamente arrestati. La sede di Cumhuriyet è situata nel centralissimo quartiere di Sisli, a poca distanza da Piazza Taksim, protetta come un fortino, con alti cancelli e filo spinato e le guardie col mitra a protezione di uno dei pochi quotidiani rimasti non allineati su posizioni filogovernative. Il direttore Dündar e un suo collega, il capo redattore di Erdem Gül, sono ancora oggetto di insulti e minacce. Motivo? Il loro giornale ha avuto l’ardire di ripubblicare alcune delle vignette su Maometto che ispirarono l’eccidio islamista nella redazione di Charlie Hebdo, il 7 gennaio 2015. Non solo, Dündar e Gül sono stati condannati in primo grado a cinque anni e 10 mesi di carcere perché accusati di aver pubblicato nel 2013 informazioni coperte da segreto di stato riguardanti il passaggio di tir carichi di armi dei servizi segreti turchi attraverso il confine siriano.
Sono stati prosciolti tuttavia dall’accusa di spionaggio e di far parte di una organizzazione terroristica per la quale avevano trascorso 92 giorni in carcere. Rilasciati a marzo, a seguito di una sentenza della Corte Costituzionale, sono ora in attesa dell’appello. Dündar vive sotto scorta: “Chiaramente per un giornalista la vita così diventa difficile – dice al Foglio – Non sei a tuo agio quando ti muovi con sei guardie del corpo che ti accompagnano in tutti i tuoi spostamenti. Immagina di andare a intervistare qualcuno e che ci vai circondato da guardie del corpo come un politico”. Cosa è cambiato a Cumhuriyet dopo la pubblicazione della vostra inchiesta? “Tutto è cambiato. Ci hanno messo in prigione, abbiamo passato intere giornate in tribunale e mi hanno addirittura sparato contro colpi di pistola, al Palazzo di Giustizia. Volevano ammazzarmi. Per quanto riguarda il nostro giornale, siamo molto più in pericolo di prima ma siamo anche molto più famosi, per questo motivo un importante quotidiano italiano è qui per farmi un’intervista”. E ride. Viene quasi da ringraziare il presidente Erdogan: “Certo! E infatti io l’ho ringraziato per aver contribuito alla mia fama. In prigione, e noi eravamo in isolamento, la vita era dura. Non potevamo utilizzare computer, scrivevamo a mano. Ma in galera ho scritto un libro, si chiama ‘Il prigioniero’. Diciamo che è stato anche un periodo di tempo produttivo che ho utilizzato come vacanza per scrivere, mettiamola così”.
Chiediamo lumi sullo scoop incriminato: “Si tratta di un documento giornalistico importante che dimostra come il governo turco abbia avuto relazioni con gli islamisti radicali in Siria e come abbia inviato illegalmente armi in quel paese attraverso i servizi segreti. Si è trattato di una sorta di crimine internazionale. Abbiamo quindi pensato di mostrare tutto questo alla popolazione turca, avvertendola anche di un possibile rischio di una guerra tra la Siria e la Turchia”. E poi della solidarietà espressa a Charlie Hebdo: “Non solo in Turchia ma anche in tutto il mondo islamico, Cumhuriyet è l’unico giornale che ha avuto il coraggio di pubblicare quelle vignette. In seguito alla pubblicazione abbiamo ricevuto minacce da islamisti radicali, questo edificio è stato circondato dalla polizia e la strada bloccata dalle forze di sicurezza per impedire possibili attacchi. Inoltre due nostri colleghi sono stati condannati perché accanto alla loro firma, nei loro editoriali, hanno ripubblicato la vignetta con Maometto. Le altre riviste di satira in Turchia non hanno ripubblicato le vignette di Charlie Hebdo, purtroppo non hanno mostrato la stessa solidarietà”. La stampa europea non è stata molto più coraggiosa, per usare un eufemismo.
Erdogan intanto ha persino querelato un comico tedesco, Boehmermann, per aver recitato una poesia satirica sul presidente turco: “Personalmente credo che voglia esportare la sua tirannia in Europa e che sfortunatamente l’Ue appare pronta a subirla. La forza di Erdogan risiede nella sua capacità di ricatto riguardo alla questione dei migranti divenuti suoi ostaggi, utilizzati per portare avanti il suo cinico disegno. Il fatto che l’Europa si stia piegando a questi diktat, per noi democratici turchi, è qualcosa di tragico”. Lei dal carcere ha rivolto un appello ai leader europei, affinché non voltassero le spalle ai democratici locali: “Ci ha risposto soltanto il presidente del Consiglio italiano, Matteo Renzi. Ha promesso il suo impegno, e di questo lo ringraziamo”. Nel lungo termine, però, “diventare membri dell’Unione europea è davvero il nostro sogno. Sarebbe un’ancora di salvataggio per la democrazia turca. È il sogno di tutti i democratici turchi. Ankara però dovrebbe fare qualcosa per rendere più democratiche le sue leggi. Temo invece che Erdogan non sia pronto a cambiare né la legge sul terrorismo né tanto meno quella sulla corruzione. L’Europa dovrà insistere su tutto questo”.
Che fare, nel frattempo? “Per prima cosa dobbiamo cercare di far parlare sempre più della repressione in atto in questo paese – dice Dündar – Non bisogna interrompere l’informazione su ciò che accade. Secondo il governo in Turchia ci sono 20 milioni di terroristi. Tutti noi, critici e oppositori, siamo terroristi, a causa della legge antiterrorismo studiata di proposito per avere un’ampia definizione e applicazione del termine ‘terrorista’. Occorre costituire un fronte democratico unito, non dobbiamo essere divisi. Non so se siamo ancora lontani dalla costituzione di questo fronte comune, ma qualcosa di certo dovrà accadere, lo spero e lo speriamo tutti. Magari capiterà un’altra Gezi. Il governo con la sua azione repressiva potrebbe innescarla”, conclude mesto ma speranzoso il direttore.
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