Perché Boris Johnson darà agli anti europeisti più soddisfazioni di Varoufakis
Solo un anno fa si parlava di Grexit. Allora Grillo, Fassina e Salvini tifavano Tsipras. Dopo la delusione greca e aver riposto in soffitta la battaglia anti-euro, adesso tornano alla carica. Ma per l’Italia Atene è più vicina di Londra.
L’anno scorso, più o meno di questi tempi, si parlava di Grexit, il governo di sinistra di Alexis Tsipras approvava la convocazione di un referendum consultivo che una settimana dopo avrebbe respinto il piano di aiuti della Troika. Dall’Italia partivano le brigate kalimere per sostenere il popolo greco nella battaglia contro l’oppressione eurocratica, Beppe Grillo sfilava per le strade di Atene negando la crisi (“i ristoranti sono pieni”!), anche Salvini appoggiava la battaglia di Tsipras, tutti erano per l’Oxi anche a costo di uscire dall’euro. L’idolo era il ministro Yanis Varoufakis, che aveva preparato un “piano B” per l’uscita dalla moneta unica e che ora, caduto in disgrazia, gira per l’Europa incontrando populisti di sinistra come Luigi de Magistris. Per fortuna dei greci Tsipras non li ha ascoltati, ha lasciato perdere i salti nel vuoto e dopo la vittoria di Pirro del referendum ha firmato la resa e un piano di assistenza con condizioni più dure di quelle che avrebbe potuto ottenere prima. Oggi Tsipras fa i compiti a casa (non proprio tutti) e, mentre stringe la mano dell’“amico della Grecia” Jean Claude Juncker, dice che la Brexit dimostra “quanto miopi e folli fossero i piani per la Grexit, fortunatamente sono falliti”.
In pochi avrebbero immaginato che dopo un anno l’Europa si sarebbe trovata con la Grecia dentro e il Regno Unito fuori. Sta di fatto che i fautori italiani del Grexit di ieri, dopo aver ammorbidito i toni sull’uscita dall’euro e dall’unione in seguito alla débâcle greca, sono tornati alla carica con la vittoria della Brexit. I grillini – che nel loro tentativo di apparire più presentabili avevano messo da parte il referendum sull’euro, preso le distanze dall’alleato Farage e con Luigi Di Maio si erano espressi contro l’exit dei britannici – ora ritornano alla carica complimentandosi con Farage e chiedendo anche in Italia un referendum per uscire non solo dall’euro ma anche dall’Unione europea. Allo stesso modo hanno ripreso coraggio e entusiasmo i Fassina e i Salvini, reduci dalle sconfitte alle amministrative, riprendendo dalla soffitta la battaglia anti-euro. Il vero problema non è tanto il ritorno a un dibattito su temi e proposte che sembravano archiviate dopo la tragedia greca di Tsipras, piuttosto sarà come affrontare le spinte anti europeiste se la Brexit funzionerà, se Londra dimostrerà che c’è vita oltre Bruxelles e fuori dall’Unione.
Perché se tutti, a partire da Tsipras (e tranne i suoi tifosi italiani), sapevano che il ritorno della Grecia alla dracma e l’uscita dall’unione sarebbe stato un bagno di sangue, lo stesso non si può dire per il Regno Unito. Se Atene era in default ed economicamente al collasso, Londra, oltre a non avere i problemi dell’uscita dalla moneta unica, ha un’economia in crescita costante, un debito sostenibile, la disoccupazione ai minimi storici e una proiezione internazionale che possono far superare il trauma della Brexit. Naturalmente l’Inghilterra dovrà fare la conta dei danni e si dovrà vedere se riuscirà a tenere insieme tutti i pezzi del Regno Unito, ma è possibile che il processo si concluda nei tempi giusti e senza disastri. A quel punto i populisti e gli anti-europeisti di casa nostra avranno vita facile nel dire: “Avete visto che ce l’hanno fatta? Facciamolo anche noi”. Dimenticato Tsipras, crederemo di poter fare come il Regno Unito, senza renderci conto che le nostre prospettive e la nostra condizione attuale – tra partecipazione alla moneta unica e debito pubblico elevato – sono più simili a quelle della Grecia.
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